PARCO SUL MARE “NUA NATUA” –  Sestri Levante
In collaborazione con:
GRUPPO ASTROFILI VEGA – Santa Margherita Ligure
 
1° Incontro – Convegno delle
Associazioni di Astrofili Liguri
Sabato 27 Marzo 2004
PARCO SUL MARE “NUA NATUA” –  Sestri Levante
 
Con il Patrocinio di:
Provincia di Genova   Comune di Sestri Levante  Comune di Moneglia   Unione Astrofili Italiani
 
MATTINA
Ore   9.30 Registrazione partecipanti
 
Ore 10.00 Saluti e Presentazione Manifestazione
 
Ore 10.15 Prima relazione
  IL TOTEM: costruire un telescopio
Relatore: ERCOLANI Ugo
Associazione Astrofili Polaris - Genova
 
Ore 10.45 Seconda relazione
Il ciclo di Saros - L’evoluzione della fotografia stellare dalla pellicola al CCD
Relatori: BARBIERI Ing. Giampiero - RONCHI Dr. Enrico
Associazione Astrofili Arcturus Chiavari
 
Ore 11.30 Terza relazione
Archeastronomia: il cielo degli antichi
Relatore: VENEZIANO Giuseppe
Osservatorio Astronomico U.P.S.- Genova
 
Ore 12.00 Quarta relazione
Archeoastronomia medioevale in Liguria
Relatori: CODEBO’ Mario – DE SANTIS Henry
             Archeoastronomia Ligustica - Genova
 
POMERIGGIO
Ore 14.30 Quinta relazione
L’osservazione delle macchie solari
   Relatore: FERRARI D.ssa Stefania
Osservatorio Astronomico di Perinaldo
 
Ore 15.00 Sesta relazione
Revisione statistica Legge di Titius Bode
Relatore: BAUDA’ Ing. Alberto
Socio Unione Astrofili Italiani
 
Ore 15.30 Settima relazione
Marte: la grande opposizione del 2003
Relatore: GHIONE  Dr. Ugo
Gruppo Astrofili Orione – Pietra Ligure
 
Ore 16.00 Ottava relazione
La ricerca astronomica amatoriale
Relatore: LOPRESTI Dr. Claudio
Componente Consiglio Direttivo UAI - I.R.A.S. – G.A.D. – La Spezia
 
Ore 16.30 Discussione aperta – proposte collaborative – scambio idee
Ore 17.30 Chiusura manifestazione
 
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Relazioni presentate all'incontro
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IL TOTEM: costruire un telescopio
Relatore: ERCOLANI Ugo
Associazione Ligure Astrofili Polaris - Genova
 
Sono il relatore che rappresenterà l'Associazione Ligure Astrofili POLARIS, della quale sono attualmente il segretario, all'incontro del 27 marzo 2004.
Mi è stato chiesto, dal nostro Presidente, di fare un piccolo sunto dell'argomento che porterò a questa splendida iniziativa che riunisce, forse per la prima volta, tutte le Associazioni Liguri di Appassionati di Astronomia.
Vista la particolare platea, ovvero persone che non hanno certamente bisogno dei soliti "corsi di astronomia" è stato deciso che dovrei intrattenervi io, illustrandovi come ho costruito il mio telescopio.
Inutile nascondervi che sono molto orgoglioso di questa decisione e cercherò di fare del mio meglio.
In effetti avevo già descritto i punti pi' salienti della costruzione in un libro. Probabilmente qualcuno lo ha letto, certamente molti non lo conoscono affatto.
Porterò all'incontro varie diapositive che illustreranno, meglio di tanti discorsi, le mie soluzioni. Spero che le mie descrizioni possano dare il via a qualche possibile autocostruttore indeciso.
Credo che la prima parte della prefazione del libro possa illustrare con sufficiente dettaglio i motivi che mi hanno invogliato alla costruzione del Totem.

Prefazione.
Anche un orologio fermo, due volte il giorno, segna l'ora giusta. Quest'affermazione, di Hermann Hesse, mi ha spinto a scrivere questo pseudo-diario.
Lo scritto non illustra pedissequamente il mio operato, se non saltuariamente, ma certamente racconta il modo grazie al quale ho risolto i vari problemi che si presentavano durante la costruzione sia del telescopio sia di tutto ciò che ritengo di qualche utilità per un astronomo dilettante.
Ogni argomento dì cui si parla e le relative soluzioni sono il frutto di reali esperienze vissute "sulla mia pelle".
Evito in modo assoluto, di consigliare a chiunque di costruire uno strumento identico al mio, ogni autocostruttore ha la capacità di decidere quale soluzione scegliere per ogni problema incontrato.
Vorrei, per questo motivo, far notare il sottotitolo "come ho costruito il telescopio", infatti, ritengo che sia limitativo ed ingiusto imporre "come si costruisce un telescopio" a persone che potrebbero insegnarmi molte cose (la prima frase della prefazione è "bilaterale").
Le riviste specializzate offrono molto spesso ottime soluzioni, senza affrontare, forse a causa dello spazio limitato, tutti gli interrogativi che ognuno di noi, prima o dopo, è costretto a porsi.
Quest'opuscolo ha lo scopo di far sapere quali e quanti sono i particolari che dobbiamo costruire, ed illustra, spero con cura sufficiente, le "mie" soluzioni.
Se tra queste il lettore ne trova una condivisibile, la mia "fatica di scrittore" ha raggiunto il suo scopo.
Nella costruzione ho scartato, sin dall'inizio, soluzioni, certamente valide, ma in pratica poco sfruttabili per i comuni mortali non particolarmente dotati (specie finanziariamente): eliminazione di "periodismi", controlli elettronici della velocità, motorizzazioni per focheggíatori, macchine fotografiche superdotate e altri materiali di gran pregio che rendono lo strumento forse migliore, ma sempre meno "propria creatura".
Mi sono rifiutato categoricamente di costruire lo specchio principale ed il secondario, sia per la mancanza di fiducia nelle mie capacità di raggiungere una precisione sufficiente, che per la certezza che la mia pazienza non mi avrebbe permesso di giungere alla fine della lavorazione (ogni pazienza ha un limite!).
Costruire uno strumento in proprio è un risparmio? Certamente no! Il costo del (poco) materiale acquistato, raggiunge quasi il prezzo di uno strumento similare e, se poi aggiungiamo la "mano d'opera" anche ad un costo virtuale...
Uno strumento autocostruito funziona meglio? Certamente si! L'autocostruttore adegua continuamente lo strumento ai propri desideri eliminando, col tempo, ogni situazione di difficoltà nell'utilizzo del telescopio.
Sconsiglio vivamente in ogni caso la costruzione di strumenti portatili e leggeri: le migliori case costruttrici si sono specializzate nella loro produzione con ottimi risultati non raggiungibili individualmente.
E' enorme la soddisfazione che l'utilizzo del proprio strumento offre all'autocostruttore, ci si ritrova, con telescopi certamente migliori, tra i pionieri dell'astronomia, essendo costretti a conoscere cose che tanti astrofili, forse, non ritengono di loro competenza.
"Aggiungi un posto a tavola che c'è un amico in più" recita un vecchio motivo.
E voi, che avete quegli strumenti risplendenti, visibili nelle pubblicità delle riviste, come vi comportate quando un amico vi chiede se è possibile fissare la propria fotocamera al vostro strumento? lo prendo il trapano, una punta da 7mm e, facendo un foro nel tubo ottico, aggiungo il posto...
Colgo l'occasione per ringraziare mia moglie che, con pazienza, mi ha lasciato giocare per tanto tempo attorno al "Totem" (questo è il nome da lei dato alla creatura, a causa del mio comportamento pieno di rispetto e adorazione).
Un cordiale saluto, Ugo Ercolani.


Il ciclo di Saros - L’evoluzione della fotografia stellare dalla pellicola al CCD
Relatori: BARBIERI Ing. Giampiero - RONCHI Dr. Enrico
Associazione Astrofili Arcturus Chiavari (GE)
Giampiero Barbieri
Il Saros: Articolazione dei contenuti

Se l'orbita lunare fosse esattamente complanare all'orbita terrestre si osserverebbero: un'eclisse di Luna ad ogni Luna Piena ed un'eclisse di Sole ad ogni Luna Nuova. Il nostro satellite percorre però un'orbita inclinata di 5°,145 rispetto al nostro piano orbitale; le intersezioni dell'orbita lunare con l'orbita terrestre vengono chiamate nodi: il nodo é ascendente se la Luna nel suo moto passa dall'emisfero meridionale a quello settentrionale, è discendente se il percorso è effettuato dall'emisfero settentrionale a quello meridionale. Il segmento che immaginiamo unisca i due nodi viene chiamata "linea dei nodi". Questo, a causa della attrazione 'laterale' del Sole, effettua una rivoluzione attorno alla Terra in senso contrario al moto lunare in 18,6 anni [forza di Coriolis].

Perché avvenga un'eclisse è necessario l'allineamento di Sole-Terra-Luna e quindi anche della linea dei nodi. Non è indispensabile però un allineamento perfetto, basta che questo avvenga entro un angolo di 10° per le eclissi lunari e di 16° per le eclissi solari. Ogni anno possono avvenire da un minimo di 2 ad un massimo di 7 eclissi solari e lunari.
[vedi animazioni: simulazioni numeriche Ing. G.Barbieri, grafiche P.Mussi e B.Berisso]

Poiché i nodi non rimangono fissi le eclissi non avvengono sempre nella stessa epoca anno dopo anno, infatti il Sole passa allo stesso nodo ogni 346,62 giorni (anno delle eclissi), quindi la stagione delle eclissi avviene sempre prima. Poiché intervallo tra due lune nuove o mese sinodico (29,5306 giorni) non è commensurabile con l'anno delle eclissi sembra che le eclissi avvengano durante l'anno senza coincidenza.

Già i babilonesi conoscevano l'esistenza di un periodo molto più lungo chiamato SAROS (dal greco ripetizione) della durata di 6585,3211 giorni in cui le eclissi si ripetono.

Infatti il Saros è minimo comune multiplo dell'anno delle eclissi e del mese sinodico: 223 mesi sinodici=6585.32 giorni ~ 19 anni delle eclissi = 6585.78 giorni la differenza è di sole 11 ore, per cui dopo il Saros la Luna, il Sole e il nodo riacquistano posizioni reciproche pressoché identiche.
Non solo ma poiché nel Saros sono contenuti 239 mesi anomalistici = 6585.65 giorni (intervallo tra due passaggi al perigeo = 27.555 giorni) la Luna si viene a trovare a distanze uguali per cui le successioni delle eclissi avviene nel medesimo modo con piccole differenze nelle modalità.

Durante un Saros avvengono in media 43 eclissi solari (di cui 12 totali e 16 anulari) e 43 lunari (di cui 13 totali e 15 parziali).L'effetto più rilevante dopo il periodo di un Saros è che l'area di visibilità dell'eclissi si trova spostata in longitudine di circa 120 gradi e un po' più a sud in latitudine per esempio l'eclisse dell'11 agosto 1999 (Austria) "corrisponde" a quella del 31 luglio 1981 (Siberia e Oceano Pacifico).

Mentre dopo 3 Saros (54 anni e 34 giorni scoperto da Crommelin nel 1901) un'eclisse si ripeterà nel medesimo luogo alla stessa ora locale, anche se il ritorno non è esatto perché variano lievemente le circostanze per cui per avere una esatta riproduzione del fenomeno si considera un periodo più lungo chiamato "Famiglia di Eclissi" (da 40 a 60 Saros).

Data la differenza di 0,43 giorni, in realtà il passaggio al nodo del Sole è spostato di 29'.  Pertanto, riferendoci alle eclissi di Sole, si ha una famiglia di eclissi, che comincia quando il Sole è distante dal nodo il massimo per avere una eclissi, in pratica quando i dischi del Sole e della Luna si sfiorano appena.

Poi, Saros dopo Saros, il Sole si sposta, la percentuale di disco solare eclissata aumenta fino a generare eclissi totali, poi la sequenza si inverte e questo ciclo si chiude quando il Sole è così lontano dal nodo che ormai non si possono più verificare eclissi. Questi cicli durano circa 1315 anni e sono chiamati Cicli Saros che sono numerati.

La numerazione è stata stabilita nel 1955 dallo studioso G. van der Bergh. Anche per le eclissi di Luna si assegna un ciclo Saros, ma la numerazione è indipendente da quella per le eclissi solari. Il Saros numero 1 delle eclissi di Luna iniziò il 14 marzo 2570 aC e terminò il 30 aprile 1272 aC. [vedi sito: Chiedi all'esperto:Astronomia - http://www.vialattea.net ].

Il ciclo di 3 Saros è una risonanza (in realtà un moto quasi-periodico).

Innanzitutto quando si parla di risonanze in sistemi reali non si ha mai a che fare con la "perfezione", nel senso che i numeri coinvolti sono sempre molto vicini ma non esattamente uguali: questo vale anche per il Saros (coincidono solo fino alla prima cifra decimale).

La questione diventa dunque capire quali sono i limiti di tolleranza di una risonanza, ovvero quanto quei numeri possano discostarsi dalla "perfezione" senza che l'effetto della risonanza scompaia (ad esempio, quanto possono essere diversi i tre periodi lunari coinvolti nel Saros senza distruggere il meccanismo osservabile di ripetitività delle eclissi?); non basta cioè trovare dei corpi celesti vicini a una risonanza ma bisogna anche controllare la "stabilità" della risonanza per essere sicuri che non si trovino in quella situazione solo accidentalmente

Ora nel caso del Saros il tutto viene complicato dalla evoluzione mareale che garantisce che i valori caratteristici del Saros cambieranno (allontanamento tipico della Luna pari a 3,8 cm/anno), perché una volta cambiato il valore della distanza e quindi del periodo, anche i valori della precessione di nodi e perigeo lunari cambiano; queste variazioni non sono tali da mantenere costante il Saros, ma seguono le leggi della meccanica celeste e possono essere calcolate tramite le equazioni sviluppate dal grande matematico Charles Delaunay.: il Saros NON rimane costante ma cambia leggermente ogni giorno, dove "leggermente" vuole dire che i tempi necessari per apprezzare tali cambiamenti sono in scala astronomica.

Dunque, se il Saros ha una durata limitata, ci si può allora chiedere da quanto tempo va avanti e quanto durerà ancora o, generalizzando ulteriormente, se esistono altri cicli tipo Saros (caratte-rizzati cioè sempre da commensurabilità tra i periodi sinodico, anomalistico e nodico, ma con valori numerici differenti) in cui la Luna sia caduta in passato o in cui cadrà in futuro. In altre parole: quanto sono frequenti i Saros nell'evoluzione dinamica dell'orbita lunare?

Il primo problema che si incontra è la modellizzazione dell'interazione mareale Terra-Luna su tempi lunghi (milioni di anni e più): sappiamo per certo che l'allontanamento della Luna non segue una legge semplice poiché dipende da fattori difficilmente ricostruibili come ad esempio la distribuzione delle terre emerse e l'incidenza delle acque basse nel calcolare l'attrito che rallenta la rotazione della Terra;

Saltando direttamente alle conclusioni, si può ragionevolmente stimare che il Saros attuale iniziò circa due milioni e mezzo di anni fa e ne durerà altri 7; se si prende un intervallo di 100 milioni di anni, si vede inoltre che la Luna è intrappolata in cicli tipo-Saros per circa il 30% del tempo; si può dunque ipotizzare che l'allontanamento della Luna dalla Terra dovuto al-le forze mareali venga periodicamente "rallentato" dall'innescarsi di un ciclo tipo Saros.
[Prof. Alessandra Celletti, Dott. Ettore Perozzi - Meccanica Celeste - CUEN].
[C.D. Murray, S.F. Dermott - Solar System Dynamics - Cambridge University Press].

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L’Evoluzione della fotografia stellare dalla pellicola al CCD
RONCHI Dr. Enrico
Associazione Astrofili Arcturus Chiavari (GE)
 
La fotografia su pellicola, storia.
Il CCD, accenni storici.
Il CCD, notizie tecniche di base.
La fotografia con i CCD, parametri principali.
Le Webcam, in astronomia, cenni generali.

La fotografia su pellicola Il pittore Louis Jacques Mandé Daguerre (1787-1851), nel 1824, cominciò a cercare la maniera di riprodurre le immagini della camera oscura. Il procedimento per ottenere immagini fotografiche fu scoperto casualmente da Daguerre nel 1835 utilizzando come materiale sensibile una lastra di rame argentata e sensibilizzata con cristalli di iodina per esposizione a vapori di iodio: chimicamente parlando si deponeva sul rame uno strato sottile di ioduro d'argento, la lastra cambiava colore e diventava azzurra e quindi veniva esposta in una camera oscura. Daguerre scoprì che, sebbene anche con esposizioni di 3 o 4 ore si formasse un'immagine appena visibile, se si esponeva la lastra ai vapori di mercurio allora bastavano pose di 3 o 4 minuti per ottenere una immagine ben contrastata. Poi fissava con il comune sale da cucina, in seguito abbandonato per l'iposolfito. Daguerre ottenne una immagine della luna, in effetti soltanto una impronta biancastra sulla solita lastra di rame ma ciò fu sufficiente per dimostrare la possibilità di ottenere immagini fotografiche dalla radiazione lunare. Questa scoperta infiammò l’astronomo e uomo politico francese Arago che comunicò per la prima volta l'idea dell'invenzione di Daguerre nella Sessione Straordinaria dell' Accademia delle Scienze e delle Belle Arti del 1839. Arago indicò chiaramente la maggior parte delle future applicazioni astronomiche della fotografia:
1) registrazione fedele e semplice degli aspetti fisici degli astri
2) misura del loro splendore
3) studio spettrale della loro luce.
In quel periodo si ottennero le prime soddisfacenti registrazioni del Sole ( 1842 e 1845 ), della Luna ( 1840 e 1850 ) e di un'eclisse solare totale ( 18 luglio 1851 ). Nel 1840 il fisico americano J.W. Draper (padre dell' astronomo Henry Draper) aveva ottenuto su lastre di Daguerre, con il supporto di un telescopio newtoniano di 13 cm di apertura, un lungo fuoco e un tempo di posa di 20 minuti, immagini della Luna di 25 mm di diametro. Nel 1850 con un cannocchiale equatoriale di 38 cm dell'osservatorio di Harvard College (Massachusets), il primo direttore dell' osservatorio, W.C. Bond, ottenne una serie di dagherrotipi, con posa di 40 secondi circa, in cui l'immagine della Luna aveva 12 cm di diametro. Tali immagini vennero presentate nel 1851 nell'esposizione universale di Londra suscitando l'ammirazione di tutti e rinnovando l' interesse degli astronomi. Durante l' eclisse parziale di Sole del 15 marzo 1858, l' astronomo francese H. Faye, riuscì ad ottenere un'immagine di 14 cm di diametro con un obiettivo di 0,52 m di apertura e 15 m. di focale che mostrava le facole delle macchie marginali, e le venature più fini che solcano i bordi del Sole. Sino al 1880 la fotografia raggiungeva gli stessi risultati dell' occhio , poi poco per volta il metodo fotografico superò sempre più largamente le possibilità dell' osservazione visuale, sostituendosi poi completamente ad essa. Il primo risultato sensazionale di questa nuova epoca fu la scoperta delle nebulose.
Le lastre ottenute all' Osservatorio di Lick tra il 1895 e il 1913 mostrarono circa 700.000 nebulose, mentre il catalogo contemporaneo NGC, effettuato visualmente, ne conteneva meno di 8.000.

Daguerrotipo del Sole ottenuto da Fizeau e Foucault il 2 aprile 1845 all'Osservatorio di Parigi. Sono visibili le macchie solari e l'assorbimento dei bordi del disco. (Foto 1).

A partire dal 1871 si ha l’introduzione delle lastre secche al bromuro d’argento: nuova sensibilità e vero inizio della fotografia astronomica. Nel biennio 1881-1882 grazie a J. C. Janssen, Common, Draper, W. Huggins e Gill, si fotografano le grandi comete.
Dal 1880 Draper ottenne la prima fotografia di una nebulosa, M 42 in Orione (Foto 4).

Foto 2 7-11-1882:Osservatorio del Cap,cometa con sullo sfondo un certo numero di stelle. Posa di 110’. la sensibilità delle “pellicole” è aumentata a livelli accettabili. Foto realizzata da D.Gill (Foto 2).

Oggi una pellicola a colori è composta strati sovrapposti di filtri e emulsioni secondo uno schema tipico (Fig 1).

 
 
Foto 3: Agosto 2003: Fotografia nebulosa “Nord America” NGC7000 (particolare) Obiettivo 300 mm, pellicola Dia 400 ASA, esposizione 17’ Per gentile concessione di Roberto Brugo, socio di Arcturus.
Foto 4: Gennaio 2004 : Skymaster 150/1000 CCD ICX098AK 15” [640 x 480] foto Autore.
Il CCD
Il CCD
(Charge-coupled device, dispositivo ad accoppiamento di carica) è nato presso i laboratori Bell di Murray Hill, New Jersey, nel 1969. Il CCD è un dispositivo caratterizzato da una matrice di microscopiche regioni di forma quadra o rettangolare, disposte a scacchiera sulla superficie di un cristallo di silicio, opportunamente trattato e integrato in un microchip. Tali regioni, fotosensibili, sono denominate pixel ( picture elements ), e sono ricavate direttamente nel silicio con processi di microlitografia, come del resto tutti i cip MSI odierni.
La camera CCD
Se sostituiamo la pellicola di una macchina fotografica tradizionale con un sensore CCD e equipaggiamo la nostra macchina con un'elettronica e un software capaci di registrare e riprodurre immagini digitali, abbiamo ottenuto una camera CCD. La zona sensibile del sensore è paragonabile a quella di un'emulsione fotografica: alla matrice dei pixel corrisponde la grana dell'emulsione. La dimensione del sensore generalmente utilizzato nelle camere CCD è di pochi millimetri quadrati (da un minimo di 4 a un massimo di 100) rispetto agli 864 del campo di una 24 x36. La superficie di un'emulsione fotografica è composta da grani fotosensibili le cui dimensioni sono generalmente più grandi di quelle del pixel di un CCD e con una distribuzione non uniforme. Nei CCD i pixel sono disposti in una matrice quadrata o rettangolare, e sono ovviamente tutti identici e spaziati in modo regolare secondo righe e colonne. La disposizione e la configurazione dipendono dall’uso specifico del CCD. Durante una ripresa l’immagine, focalizzata sulla matrice del CCD, produrrà in ogni pixel delle cariche elettriche,in numero proporzionale all’intensità luminosa, al tempo di esposizione ed alla efficienza quantica, funzione della lunghezza d’onda della luce incidente. Durante l’esposizione si formerà una mappa elettronica dell'immagine dell'oggetto. Il processo di integrazione è generalmente lineare ed esente dal cosiddetto difetto di reciprocità presente nelle emulsioni fotografiche. Il rendimento di conversione fotone-elettrone è dal 10% al 60% rispetto al 2-3% dell'emulsione fotografica (al centro della curva di sensibilità) quindi con assai maggior sensibilità del CCD rispetto all'emulsione fotografica. Al termine dell' esposizione l' immagine elettronica memorizzata nel substrato del sensore sarà disponibile come segnale elettrico, pronto per la digitalizzazione e elaborazione. I pixel hanno superfici molto piccole, di pochi micron di lato, adiacenti l'un all'altro a formare una superficie a scacchiera interamente sensibile alla luce. Le zone che dividono i pixel, chiamata zona morta, è, salvo rare eccezioni, molto piccola e non crea apprezzabili discontinuità di sensibilità luminosa sulla superficie del sensore. Alcuni CCD dotati di anti-blooming laterale presentano una griglia di zone morte, ossia insensibili alla luce, pari anche al 30% dell' intera superficie del sensore. I modernissimi CCD Interline Transfer Sony, dotati di una struttura di anti-blooming e di registri verticali di lettura e schermatura dell' immagine, presentano anch'essi una piccola zona morta, non superiore comunque al 10% dell' intera superficie del sensore. L’organizzazione interna dei CCD dipende dal tipo di trasferimento delle cariche ed in particolare abbiamo tre tipi fondamentali di readout: Interline Transfer, Frame Transfer o Full Frame Transfer ed è possibile in molti casi evitare lo shutter esterno utilizzando il cosiddetto otturatore elettronico.
Il Full_Frame_Transfer è l’unico tipo di CCD che necessita obbligatoriamente di shutter esterno, non possedendo una memoria locale di transito.

Vediamo in dettaglio le diverse configurazioni:
Interline Transfer
Ad ogni colonna di elementi fotosensibili è associata una colonna di registri. Al termine del periodo di integrazione le cariche che si sono venute ad accumulare sui pixel sono trasferite in tempi estremamente brevi sui registri verticali. E’ possibile trasferire i dati all’host con tempistiche scelte dall’utente. La tecnica del registro verticale crea automaticamente un otturatore elettronico che arriva ai millesimi di secondo.
Frame Transfer
Due CCD in un CCD. Esiste una zona di memoria identica a quella sensibile alla luce. Al termine dell’integrazione le cariche sono trasferite i pochi millisecondi tra le due zone. L’host può leggere le informazioni con le tempistiche più idonee. Anche in questo caso il sistema crea automaticamente un otturatore elettronico che arriva al millesimo di secondo.
Full Frame Transfer
E’ la struttura più semplice. La lettura delle cariche, al termine del periodo di acquisizione, avviene mediante trasferimento progressivo verticale del contenuto delle righe della matrice del sensore. Questo processo è tipicamente dell’ordine del secondo e durante questo periodo è obbligatorio attuare un otturatore esterno per evitare il difetto di smearing.
Altri fattori sono estremamente importanti:

Efficienza Quantica (Quantum Efficiency) e Sensibilità Spettrale.
L’efficienza quantica ad una certa lunghezza d’onda esprime il rapporto tra il numero di fotoni incidenti al secondo su di un pixel e il numero di fotoelettroni prodotto. E' solitamente espresso in percentuale, è sempre < 100% ed indica la sensibilità teorica di un CCD. Il costruttore di CCD offre nelle specifiche tecniche anche l’efficienza quantica in funzione della lunghezza d’onda. I CCD BN hanno in genere una efficienza quantica utilizzabile tra il medio infrarosso e l’ ultravioletto.
Nel caso di CCD con filtri integrati (RGB) la sensibilità alle varie lunghezze d’onda è modificata dai filtri stessi. Fig 2 Fig 3.

Nel procedo produttivo dei CCD non si ottiene mai una efficienza quantica rigorosamente uniforme su tutta la superficie. Anche se in genere tale problema è facilmente risolvibile tramite una mappa di flat, questo è da considerarsi comunque un parametro importante. Specialmente per l’ uso astronomico ove è richiesta una grande dinamica è importante la misura della capacità elettronica per pixel ( Full Well Capacity ) ossia del numero massimo di fotoelettroni che possono “ stare ” su di un pixel. Altro problema, risolvibile tramite una mappa di dark è legata al rumore di fondo. Tale rumore può essere diminuito raffreddando il CCD e diminuisce di un fattore due per una diminuzione di 6 gradi di temperatura. Quando si ha la saturazione di un pixel si assiste al fenomeno del blooming ossia del travaso di fotoelettroni lungo le colonne con conseguente degradamento delle immagini. Quasi tutti i CCD di ultima generazione possiedono tecniche di anti-blooming anche se in genere a discapito della sensibilità. Il CCD è un rivelatore perfettamente lineare almeno non considerando l’ estrema regione della saturazione e pertanto si ottengono i seguenti vantaggi : La soglia minima di rivelazione è data dal rumore medio complessivo presente dell'immagine. Il CCD non soffre dell'effetto Schwarzschild ossia di reciprocità, manterrà la stessa sensibilità ed efficienza quantica indipendentemente dalla durata dell'esposizione. La linearità consente di effettuare misure dirette di luminosità degli oggetti (fotometria di precisione ) Le Webcam sono delle piccole camere CCD nate principalmente per il mondo della informatica. Sono costruite però con CCD di buona qualità e in genere è possibile modificarle per adattarle all’uso astronomico.

Le principali modifiche consistono:
- Eliminazione dell’ottica, in genere scadente, e creazione di un opportuno adattatore per l’interfaccia diretta con il telescopio.
- Modifiche relative all’elettronica per sganciare l’otturatore elettronico e gestirlo in modo diretto dal computer. Si ottengono tempi di acquisizione virtualmente illimitati.
- Possibile raffreddamento del CCD tramite celle Peltier
- Modifiche del software di gestione per recuperare immagini in formato RAW.

Nelle Webcam a colori, sopra al CCD, di per se stesso in BN, è depositato un film contenete filtri RGB. La disposizione di questi microscopici filtri è fatta secondo uno schema preciso, schema di bayer. Fig 4.

Nel modo di trasferimento progressivo e realtime mode abbiamo (per il ICX098AK):

Il modo Progressive scan Mode abbiamo il trasferimento di tutta la matrice dell’immagine in circa 1/30 secondo. Subito si nota che nel trasferimento veloce abbiamo una riduzione della qualità dell’immagine anche se siamo in grado di avere 1&60 di secondo di aggiornamento. Il fattore è di 200 righe verticali contro le quattrocento precedenti. Nel caso delle Webcam, e delle macchine fotografiche in genere, i dati di luminanza generati dal CCD, dopo la conversione in binario, vengono elaborati generando tre canali (R,G,B) a 8 bit ciascuno. Questo è possibile proprio in dipendenza dello schema di bayer. Sapendo che il primo pixel è ad esempio un rosso, sarà gestito dal canale del rosso ecc. La risoluzione non è ovviamente quella dichiarata ma circa 1/3. I buchi tra un pixel di colore e l’altro sono riempiti tramite tecniche di interpolazione pesata e compressione per stare in 8 x 8 x 8 bit (16 milioni di colori, fasulli)
Come migliorare il sistema? Non elaborando i dati all’interno della WEBCAM.

Abbiamo allora in uscita un segnale pseudo BN che ha una ampiezza non di 8 bit ma di 10 bit. L’elaborazione è possibile allora in ambito locale, dal PC collegato, senza compressioni dei dati, utilizzando ogni pixel con una profondità di 10 bit (nella toUcam). Abbiamo allora una immagine a colori ad alta dinamica, adatta per le immagini astronomiche. La pseudo immagine così generata (cioè BN con filtro di bayer) è chiamata formato RAW Molti programmi commerciali, come IRIS, sono in grado di gestire questa tecnica.


Archeastronomia: il cielo degli antichi
Relatore: VENEZIANO Giuseppe
Osservatorio Astronomico U.P.S.- Genova
 
ARCHEOASTRONOMIA: IL CIELO DEGLI ANTICHI
 
1. Introduzione.  Nascita e scopi dell’A.L.S.S.A.

Gran parte delle nostre attuali conoscenze nel campo dell’astronomia - ma non solo - sono la somma di un patrimonio di nozioni che provengono da una lunga serie di ininterrotte acquisizioni e conquiste, sia piccole che grandi, ottenute dai nostri predecessori.

Ciò che ha sempre attirato l’attenzione e la curiosità dei cultori delle materie sia scientifiche che umanistiche è stata quella di voler sondare il pensiero e le percezioni dell’uomo preistorico sul mondo che lo circondava, il suo rapporto con i fenomeni naturali e con il cosmo, la sua religiosità.  Impresa ardua, questa, ma che è possibile attuare cercando di analizzare ed interpretare i resti litici e le opere, ad esempio quelle megalitiche, lasciate a testimonianza per i posteri. È stato infatti accertato che sia i complessi megalitici che le pietre incise avevano una funzione religiosa. Per molti d’essi, come pure per siti con orizzonti particolari, è stata comprovata anche la valenza astronomico-calendariale.

Per cercare di avere un quadro più vasto del pensiero e della conoscenza astronomica ai primordi della storia umana, e per dare risposta a queste e a molte altre domande che si facevano strada man mano che gli studi progredivano, è nata una nuova scienza: l’Archeoastronomia.

Per dare impulso a questa scienza anche in ambito ligure, il giorno 11 gennaio 1997 (dopo numerosi incontri preliminari per la definizione dello Statuto), presso il Club Alpino Italiano di Genova Bolzaneto, si costituiva di fatto, con la ratifica dello Statuto Sociale da parte dei Soci Fondatori, l’Associazione Ligure per lo Sviluppo degli Studi Archeoastronomici (A.L.S.S.A.), che veniva in seguito registrata con atto legale il 12 maggio dello stesso anno.

L’A.L.S.S.A. nasceva da un contributo multidisciplinare ad opera di un gruppo di studiosi aderenti a diverse associazioni, tra le quali: l’Osservatorio Astronomico di Genova, l’Istituto Internazionale di Studi Liguri, l’Associazione Ligure Astrofili “Polaris” e l’Associazione Astrofili Spezzini. Essa è stata, ed è tutt’ora, la prima ed unica espressione di questo tipo in terra ligure. Ma non solo. La nascita dell’A.L.S.S.A. appare come un precorrere i tempi, soprattutto se si tiene conto che la Società Italiana di Archeoastronomia (S.I.A.) si è costituita solo più di recente, nel 2001, ben quattro anni dopo.

Gli scopi che l’A.L.S.S.A. si propone sono lo studio, la ricerca, la divulgazione e la pubblicazione nel campo dell’Archeoastronomia (oggi più propriamente definita “Astronomia culturale”). La struttura multidisciplinare di questa materia di studio, oltre alle ovvie conoscenze basilari di astronomia, visuale e di posizione, e di archeologia, prevede l’utilizzo di altre discipline ad esse collegate, quali la geologia, la geofisica, la toponomastica, l’etnografia e la storiografia.

Proprio per la vastità di interessi che l’Archeoastronomia, come materia scientifica, racchiude in sé, e a causa della differente estrazione culturale dei soci, si decise di istituire un ciclo di seminari, a cadenza annuale, a carattere generale e divulgativo, seguiti da altri incontri a livello più approfondito. Questi seminari sono nati insomma dall’esigenza di dare a tutti, soci e non, una base di conoscenze comuni, nella speranza che ciò possa costituire lo stimolo iniziale per un lavoro di gruppo fatto anche di passione e competenza, con lo scopo di costruire insieme, passo dopo passo, una grande Associazione.

2. Prime osservazioni dell’uomo: il luminare del giorno e quello della notte.

Una delle prime conquiste dell’uomo nel campo dell’astronomia fu certamente la constatazione delle ciclicità di alcuni fenomeni naturali, i quali potevano essere strettamente correlati a quelle attività umane basilari per sopravvivenza di un popolo.

La prima delle ciclicità osservate fu certamente l’alternanza del giorno e della notte e, in seguito, quella delle stagioni. L’osservazione dei fenomeni associati al luminare del giorno (il Sole) e al luminare della notte (la Luna), e legati alla loro posizione nel cielo, permetteva alle antiche comunità di poter programmare attività quali l’agricoltura, la caccia e la pesca, su scale temporali brevi (giorni) e lunghe (stagioni).

Ciò che dovette colpire gli antichi osservatori del Paleolitico deve essere certamente stato il variare della posizione in cui il Sole sorgeva o tramontava sull’orizzonte, oppure il variare della posizione in cui il Sole raggiungeva l’altezza massima nel cielo a metà del giorno (culmine) prima di iniziare la parabola discendente lo avrebbe portato a scomparire dietro l’orizzonte. (vedi fig.1).

figura 1

Quegli antichi osservatori, una volta individuato un sito adatto da cui potessero spaziare con lo sguardo, cominciarono a “segnare”, con pietre di varie dimensioni e forme, i punti massimi (al solstizio d’estate) e i punti minimi (al solstizio d’inverno) dei percorsi apparenti del Sole sulla linea dell’orizzonte all’alba e al tramonto, oppure il variare dell’ombra proiettata da un bastone piantato verticalmente nel mezzo di uno spiazzo. (vedi fig. 2) Alcuni popoli arrivarono al punto di posizionare lungo queste direttrici immaginarie le loro abitazioni e le loro sepolture. Le prime testimonianze a questo riguardo risalgono al IV e III millennio a.C. e si svilupparono soprattutto tra i popoli della cosiddetta “mezzaluna fertile” (quei territori bagnati dal Nilo, dal Tigri e dall’Eufrate), tra Cinesi, Indiani e gli abitanti dell’America centrale.

 figura 2

Successivamente, quegli antichi osservatori, si resero conto che esisteva un altro fenomeno ciclico: le fasi della Luna, che si ripetevano ogni 29,5 giorni solari.
I Babilonesi determinarono con gran precisione, sebbene questo dovette presentare senza dubbio maggiori difficoltà, questo periodo che chiamarono mese sinodico sul quale basarono un calendario lunare per cui ogni anno era diviso in dodici mesi di trenta o ventinove giorni che veniva corretto con un tredicesimo mese quando i sacerdoti-astronomi stabilivano che la discordanza tra anno civile e anno reale era troppo elevata.
In precedenza, sempre in Mesopotamia, i Sumeri, popolo di agricoltori ma anche edificatori di grandi città-stato (Larsa, Eridu, Nippur, Ur, Uruk, Susa), onorarono la Luna di grande prestigio, superiore addirittura a quello del Sole. Essi le diedero la personificazione di una divinità maschile: il dio Nanna, figlio di Enlil dea della Terra, del vento e dell’aria, e padre di Utu, il Sole. (figura 3).

figura 3 :  simboli astrali ritrovati su molte steli babilonesi.
 
3. Altri punti di riferimento: pianeti e stelle.

In seguito, a questi indagatori del cielo, non dovette sfuggire vi erano delle stelle “fisse”, per la loro immutevole posizione rispetto agli altri astri, e altri corpi celesti (i pianeti) che si spostavano periodicamente da una parte all’altra del cielo. Un ruolo particolare dovette certamente essere rivestito dal pianeta Venere, l’oggetto più brillante nel cielo dopo il Sole e la Luna. Gli antichi la chiamarono Phosphorus (stella del mattino) o Hesperus (stella della sera) per la sua peculiarità di essere visibile verso l’alba e al tramonto, anche se c’era ancora il Sole nel cielo.

Agli albori della civiltà, il fatto che Venere apparisse prima levarsi del Sole e, talora, ne seguisse il tramonto, era stato probabilmente interpretato per quello che l’evidenza sembrava mostrare: l’esistenza di due astri dal comportamento diverso e discontinuo. Solo in seguito si intuì l’unicità del fenomeno. Scavi archeologici compiuti nei pressi di Ninive e Babilonia, hanno portato alla luce alcune tavolette di argilla con iscrizioni nelle quali si era riconosciuto in Dilbat (nome dato a Venere dai Babilonesi) un astro unico che in ogni suo periodo sinodico diventava visibile due volte; a levante come stella del mattino e a ponente stella della sera. Per il suo fulgore, Venere era considerata popoli della Mesopotamia, il simbolo della dea Ishtar, che insieme a Sin (simboleggiata dalla Luna) e Samas (o Shamash, il Sole), rappresentava la triade divina degli Assiro-babilonesi. Presso i Maya, Venere era invece il dio Kukulcan, servitore del Sole, che si spostava come se fosse legato al suo luminoso signore.

Gli antichi osservatori che durante le fredde notti invernali volgevano il loro sguardo verso meridione, potevano rimanere meravigliati da una splendida e fulgidissima stella che non ha rivali in tutta la volta celeste: Sirio. Questa stella ebbe un’enorme importanza soprattutto in Egitto. L’economia e la vita stessa di quella nazione erano regolate dalle periodiche inondazioni del fiume Nilo, le quali si verificavano una volta all’anno e che, apportando nuovo humus, quando le acque si ritiravano, lasciavano un terreno fertilissimo per ogni tipo di coltura, specie per il grano.

Questo periodo così cruciale per la sopravvivenza di un intero popolo, era preannunciato da un segno nel cielo: l’apparire di Sirio nella luce dell’alba, poco prima del sorgere del Sole. Questo fenomeno, noto come “sorgere o levare eliaco di Sirio”, nel 3000 a.C. alla latitudine di Menfi, seguiva di soli tre giorni il solstizio estivo. Ora, la scienza degli antichi Egizi era prettamente sperimentale e basata sul più rigoroso pragmatismo: serviva cioè soltanto a scopi pratici. Occorreva studiare il cielo solo per poterne trarre qualche utilità, ad esempio per orientarsi, per stabilire il corso dei mesi o per prevedere l’inizio delle piene. La stella che appariva nel cielo preannunciando ad un intero popolo l’evento più importante dell’anno, assunse così un carattere estremamente particolare. Presso gli egiziani, il legame tra culto ed astronomia era molto stretto, quindi i sacerdoti-astronomi diedero un significato religioso a questo evento. La stella che in quel periodo appariva nella luce dell’alba prima del sorgere del Sole, fu chiamata Sothis (o Sopde) dagli Egiziani, i quali la considerarono una manifestazione della dea Iside. Fatto degno di nota, questi sacerdoti-astronomi interpretavano questo fenomeno spiegando che tutto ciò era un segno della volontà divina, la quale provocava le inondazioni per la sopravvivenza popolo egiziano. Già allora, quindi, quei sacerdoti-astronomi avevano intuito che non era Sirio a provocare le inondazioni, ma che la levata eliaca di Sirio coincideva, per volontà divina, con le piene del Nilo. Almeno in questo caso, essi avevano dunque già negato che vi fosse un’influenza diretta del fenomeno celeste sull’avvenimento naturale. Il premuroso avviso di Sirio, fu paragonato dagli agricoltori, alla premura con cui un cane avvisava il padrone; nei geroglifici dell’epoca Sirio-Sothis venne dunque rappresentata con la figura di un cane e, successivamente, come una mucca accosciata. Ancora oggi la presenza di questa stella è associata alla costellazione del Cane Maggiore, fedele segugio del cacciatore (e altra costellazione) Orione. Anche se, a causa della precessione degli equinozi, questa situazione astronomica gradualmente finì per non coincidere più con le inondazioni, il significato mistico attribuito alla stella Sirio rimase comunque ben radicato ancora per secoli.

figura 4: antiche rappresentazioni egizie di Sirio che appaiono sul sarcofago di Hetar, nel tempio di Hator a Dendera, e in quello di Horus a Edfu. La stella, che altre volte ha la figura di un cane, è qui raffigurata come una mucca accosciata. La figura reale che la precede è Orione, che rappresenta Osiride.
 
4. Archeoastronomia: l’uomo e il cielo.

Tutti questi fattori spinsero le antiche popolazioni a pensare ci fosse una misteriosa relazione di dipendenza che costringesse le vicende terrestri a seguire un supremo ordine cosmico. Le evoluzioni degli astri sulla volta celeste rappresentavano la chiave per risolvere o svelare questa relazione. Conoscendo a sufficienza il cielo si sarebbe potuto scoprire nel firmamento il disegno supremo dal quale dipendeva il divenire di tutte le cose. Proprio questo dovette costituire lo stimolo iniziale che spinse gli antichi popoli a voler “misurare” le evoluzioni degli astri nel cielo.

Non possiamo neanche lontanamente immaginare cosa potesse pensare colui che anticamente osservava il sorgere e il silenzioso declino dell’astro del giorno senza il rombante rumore dei motori a scoppio, o quali sentimenti attraversassero il suo animo (speranza? paura? estasi?) quando guardava le splendide gemme incastonate nella nera eppure tersa volta celeste priva di quell’inquinamento luminoso ormai tipico della nostra civiltà cosiddetta moderna.

Osservando e studiando questa arcaica forma di scienza, forse guardiamo con un po’ di rimpianto a ciò che noi stiamo lentamente ma progressivamente perdendo, anche se rimane comunque parte della natura umana.

Proprio per questa sua particolarità, l’archeoastronomia come scienza, non studia cose ormai estinte bensì cose ancora vive nelle più remote profondità del nostro animo. Riscoprire quelle antiche opere di architettura astronomica, i miti e i pensieri dei loro costruttori, significa riscoprire una parte di noi stessi.

Quando nella notte alziamo i nostri occhi al cielo e rimaniamo estasiati ed impauriti al tempo stesso dallo splendore e dalla vastità dell’universo, in fondo, oggi come allora, il quesito finale, nostra più recondita domanda, rimane la stessa:

Perché siamo sulla Terra?
 
Bibliografia

Ceragioli, Roger "Behind the Red Sirius Myth" - Sky & Telescope, giugno 1992.

Cossard, Guido "Quando il cielo non aveva nome" - 1988, Tipografia Valdostana.

Felolo, Luigi "Stonehenge e Innerebner: pietre e montagne" - 1998, Atti del II Seminario di Archeoastronomia, Osservatorio Astronomico di Genova.

Hogben, Lancelot "Sacerdoti-astronomi e antichi navigatori" - 1983, Zanichelli Ed., Bologna.

Masani, Alberto "La cosmologia nella storia" - 1996, Ediz. La Scuola.

Migliavacca, Renato "Storia dell’Astronomia" - 1976, Mursia Editore.

Veneziano, Giuseppe "Il dilemma di Sirio" - 1994, Pegaso, n°20, Associaz. Astronomica Umbra.

Veneziano, Giuseppe "La stella Sirio tra scienza, storia e mito" - 1999, Atti del III Seminario di Archeoastronomia, Osservatorio Astronomico di Genova.

Veneziano, Giuseppe "L’inferno di Venere" - 1993, Pegaso, n°14, Associaz. Astronomica Umbra.

Referenze delle figure

Figure 1 e 2: Georg Innerebner, La determinazione del tempo nella preistoria dell’Alto Adige, 1959, Annali dell’Università di Ferrara, Sez. Paleontologia umana e Paletnologia.
Figura 3: Guido Cossard, Quando il cielo non aveva nome, 1988, Tipografia Valdostana.
Figura 4: Giuseppe Veneziano, Il dilemma di Sirio, 1994, Pegaso, n° 20, Associazione Astronomica Umbra.


Archeoastronomia medioevale in Liguria
   Relatori: CODEBO’ Mario – DE SANTIS Henry
Archeoastronomia Ligustica - Genova
http://www.archaeoastronomy.it
 
Archeoastronomia medioevale in Liguria.
 
Chiesa di S. Eugenio - Isola di Bergeggi
Lat. 44°14'05"N; long. 8°26'44"E, quota m. 53 s.l.m.
Della chiesa, edificata intorno al X° secolo, restano le absidi comprensive di monofore, i due altari, parte del muro meridionale ed il perimetro di fondazione, nonché gli adiacenti ruderi del monastero.
L'edificio è stato oggetto di studi atti a dimostrare l'esistenza di orientamenti particolari.
La ricerca ha dato risultati positivi in quanto:
La monofora SE della navata meridionale è orientata al sorgere del sole al solstizio d'inverno (21/12) e nel giorno del Santo Natale nel X secolo, avendo un azimut medio di 123,07° e una declinazione media di -23,36°. Altresì è possibile ipotizzare altri due orientamenti, verso l'alba dei giorni 28 e del 30 dicembre, dove si festeggiano rispettivamente un S. Antonio, monaco di Lérins del V sec. e un S. Eugenio, religioso milanese noto almeno dalla seconda metà del VIII secolo, forse vescovo o confessore, che alcuni studiosi identificano con il più famoso S. Eugenio vescovo di Cartagine a cui la chiesa sarebbe dedicata.
La monofora dell'abside settentrionale sottende un azimut di 90° con una declinazione del X secolo di 3,15° relativa al 28/03 ed al 14/09, dove nella prima data si ricorda San Godranno re dei franchi nel VI secolo e nella seconda la festa dell'esaltazione della Santa Croce, mentre è interessante notare che il 29/03 si festeggia S. Secondo Martire, patrono di asti e di Ventimiglia. Inquadrando la Liguria del X sec. in un ambito "Gallico", e data la provenienza dei monaci, l'orientamento della monofora, verso la festa del Santo franco e del patrono di Alb(i)um Intemelium, non può apparire casuale.
L'asse della chiesa invece non risulta essere orientato verso giorni particolari avendo un azimut di 81,6° e declinazioni sottese nel X sec. di 6,21° e di -3,78° nella direzione opposta.
Chiesa di S. Michele di Noli
Lat. 44°12'16"N; long. 08°24'43"E; q. m. 138,8 s.l.m.
Eretta e gestita dal potente ordine benedettino di Lérins nel X - XI sec. la chiesa è da considerarsi gemella di quella di S. Eugenio dell'isolotto di Bergeggi.
Inizialmente la chiesa aveva solo una navata con volta a botte ed abside semicircolare, solo nel XII secolo fu aggiunta la seconda navata. Attualmente è pressoché ridotta a rudere. L'edificio è posto sull'omonima collina di S. Michele ed è facilmente raggiungibile tramite un sentiero che parte da Noli. La misura dell'asse ha dimostrato che l'abside è posta verso l'alba del solstizio estivo (21/06) con un azimut di 58,5° e una declinazione dì 22,8° (22,9° nel XI sec.). La declinazione 22,9° è infine quella del sole intorno al 8-9 giugno quando anticamente veniva festeggiato ad Albenga S. Michele Arcangelo, santo tipicamente longobardo attualmente festeggiato il 29/09. Verso l'azimut opposto 238,5° la declinazione è di -13° corrispondente al 14/02 ed al 28/10, il 14/02 sono ricordati i SS. Cirillo e Metodio, più noti come Costantino e Michele evangelizzatori dei popoli slavi nel IX secolo. Si può ipotizzare un intento volontario dato il santo conosciuto anche con il nome di Michele. Il 28/10 sono ricordati i Santi Simone e Giuda apostoli, figure comunque molto importanti nella liturgia cattolica. Da quanto sopra si desume che la chiesa sia stata deliberatamente orientata verso l'alba solstiziale e dei giorni dedicati ai suddetti Santi.
 
S. Lazzaro di Noli
Lat. 44°11' 56" N; long. 8°25'12" E; q.m. 62,5 s.l.m. [I.G.M.I. 1:25000]
Salendo lungo la mulattiera che inizia in via XXV Aprile e che conduce al "semaforo" sopra Capo Noli, si raggiungono i ruderi di due edifici: il lazzaretto e la cappella annessa, intitolata a S. Lazzaro. Gli edifici, purtroppo in stato di particolare rovina, con 1’abside della chiesetta gravemente danneggiato e pericolante, risalgono ai secoli X-XIII e servirono come ricovero per i marinai nolesi che ritornavano in patria affetti da malattie contagiose o come luogo di quarantena e contumacia per quelli che provenivano da località infette. Dalla filza n. 19 dell'Archivio Storico Comunale di Noli sappiamo che nel 1587 vi fu ricoverato l'ultimo appestato "...un certo Francesco Ferro, il quale fu messo in quarantena nell'antico lazzaretto con quattro uomini di guardia e col solo infermiere Dominico Lagasio, che aveva l'incarico di dargli la purga...".
Da quell'anno in poi gli appestati - che pare non furono mai molti, perché la peste sostanzialmente risparmiò la piccola repubblica marinara - ed i sottoposti a quarantena vennero rinchiusi nel castello di Monte Ursino. Il lazzaretto e la chiesa annessa caddero progressivamente in rovina.
Anche di questa chiesa la prima descrizione si trova nella citata relazione della visita. apostolica di Mons.  Niccolò Mascardi: "...Caratterizzata dalla sua esiguità. L'altare nella parete orientale non è conforme alle prescrizioni, spoglio e privo del necessario.  Non vi si celebra messa.  Il reddito è di circa lire 6, derivanti da pochi alberi di olivo che sono assegnati ad un chierico della cattedrale...".
Lo storico nolese Can. Descalzi attribuisce l'erezione del complesso ai Cavalieri di Rodi (già Cavalieri Gerosolimitani, poi Cavalieri di Malta, oggi Sovrano Ordine Militare Gerosolimitano di Malta) verso la metà del XII secolo, essendo allora Gran Maestro Fabrizio Del Carretto, marchese di Finalborgo (oggi: Finale ligure).
Allo stato attuale della ricerca archivistica, non sono stati rinvenuti altri documenti riguardanti questo complesso di edifici. In mancanza di orientamenti chiaramente significativi, riteniamo che S. Lazzaro dì Noli sia stata più probabilmente costruita unicamente in funzione della morfologia del suolo, senza alcun orientamento astronomico particolare e con un generico orientamento absidale a levante: l'abside rivolto a mare e l'ingresso rivolto a monte.  Ciò potrebbe essere connesso 'con la sua funzione più modestamente "pratica" di cappella di lazzaretto per il conforto spirituale degli internati.
 
Santa Margherita e Santa Giulia in Capite Nauli.
Lat. 44°11'49"N; Long. 8°25'32"E; q.m. 120 s.l.m.
Le notizie storiche in merito a questi edifici sono scarsissime, e la loro origine, nonché l’Ordine edificante, sono sconosciuti.
Oggi le due chiese - che hanno subito gravi demolizioni nel corso del secondo conflitto mondiale - si presentano addossate l’una all’altra, ad oriente S. Giulia e ad occidente S. Margherita (e/o S. Abbondio secondo uno storico nolese),  a picco sul mare sullo sperone roccioso di Capo Noli, lungo un antico percorso congiungente la Repubblica Marinara di Noli al finitimo Marchesato del Finale.
Il complesso, costruito con mattoni e pietre in stile romanico, fu sede di un romitorio dei Cavalieri Gerosolimitani, e già nel 1191 viene citata una chiesa di Santa Giulia “in capite Nauli”.
L’asse abside-facciata della chiesa trecentesca di Santa Margherita ha un azimuth di 241°14' 51" e  sottende la declinazione equinoziale - 0° 19', raggiunta dal sole tramontante dietro l'alta rupe antistante. In questa circostanza i suoi raggi probabilmente penetravano attraverso il rosone, oggi solo parzialmente individuabile, e illuminavano la mensa dell'altare.
L’azimuth opposto 61°14'51" sottende la declinazione 19°40'39" che il sole assume intorno ai giorni 19/05 e 25/7. Intorno alla prima data ricorre il martirio in Corsica di S. Giulia Vergine, il cui nome è presente in tutti i martirologi, compreso quello Geronimiano, che colloca la data al 22/5, desumendola da un martirologio non posteriore al V secolo. Vicino alla seconda data ricorre il martirio di S. Marina o Margherita di Antiochia di Pisidia, celebrato in data 17 o 18 o 20 luglio, a seconda dei martirologi consultati.
Inoltre, il 27 luglio, secondo il martirologio Geronimiano, si celebrano santa Giulia e Gioconda martiri di Nicomedia, anche se la loro esistenza è dubbia, potendo trattarsi la prima di Giuliana Martire di Nicomedia e la seconda essendo sconosciuta ad altre fonti.
La monofora semidistrutta dell'abside della chiesa di S. Margherita, con azimuth 105°42', sottende la declinazione -11°39', raggiunta dal sole nei giorni intorno al 18/2 e 24/10. La seconda data corrisponde, con buona approssimazione, alla memoria di S. Margherita di Roskilde,  vissuta in Danimarca nel XII secolo, circa duecento anni prima della costruzione di questo edificio.
Nessun allineamento rinvia invece a S. Abbondio.
Il numero discretamente elevato di allineamenti significativi sembra escludere la loro casualità, mentre alcune loro peculiarità ci inducono ad ipotizzare gli edificatori delle due chiese nei Benedettini di Leryns, notoriamente molto attivi nell'antica Repubblica Marinara di Noli e nella Liguria di ponente.
 
La Benedicta
Lat. 44°33'52,70" N; Long. 08°46'38,98"E; q.m.694 s.l.m.
Priorato benedettino del XI secolo, posto nell’odierno comune di Capanne di Marcarolo, lungo la Strada Cabanera, divenne successivamente di proprietà degli Spinola e fu raso al suolo nel 1944 per vicende belliche. Non si riscontrano, allineamenti significativi, benché verso E la declinazione sottesa si avvicini, per eccesso, a quella del Sole al solstizio d’estate e verso S, per difetto, alla minima stazione Lunare.
 
Il Cenobio di San Tomaso di Rapallo
Lat.: 44°21'38,11"N; long.: 9°12'00"E; q.m.75 s.l.m. [I.G.M.I. 1:25000]
1 ruderi del Cenobio, posti in località Santa Maria del Campo, rispecchiano ancor oggi lo splendore che caratterizzava la struttura a due navate di questo monastero benedettino prevalentemente femminile. Secondo lo storico Arturo Ferretto il monastero fu fondato intorno al 1160, il monastero fu sconsacrato nel 1582 ed i suoi beni furono improrogabilmente alienati nel 1597, e da allora il convento fu destinato ad una lenta rovina.
L'asse maggiore della struttura (verso l'abside) è orientato verso il sorgere del sole agli equinozi (21/03-23/09) con azimut 97°20' (ho 6°30') e declinazione - 0°44'.
 
Monastero di Santa Maria in Valle Christi (Rapallo)
Lat. 44°21’23,51”N; long. 9°12’10,65”E; q. m. 18 s.l.m. [I.G.M.I. 1:25000]
L’edificio era un imponente monastero femminile di clausura, edificato dall’ordine cistercense tra la fine del secolo XII e l’inizio del XIII, su donazione di due nobildonne genovesi. Alle dirette dipendenze della Santa Sede, ospitò la preziosa reliquia di San Biagio, poi conservata fino ad oggi nella Basilica di Rapallo.
Il complesso fu abbandonato per decreto 3 ottobre 1568 di Papa Pio V, che ne dispose la chiusura.
L’asse centrale della chiesa, misurato il 29/05/1999, risulta orientato nelle seguenti direzioni:
AaM: 101,56°<>281,56° (e.q.m. ±0,06<>0,06); hv 4,70°<>13,80°; decl.M sec. XII –5,36°<>17,95° (e.q.m. ±0,32<>0,48) (5).
La declinazione –5,26° era raggiunta dal Sole il 28/02 ed il 29-30/09, feste, queste due ultime, di S. Michele Arcangelo (in antico festeggiato in data 08/06) e S. Girolamo Dottore della Chiesa.
La declinazione +17,95° era raggiunta dal Sole il 04/05 ed il 26/07, feste, rispettivamente, di S. Monica, madre di S. Agostino, e S. Anna, madre della B. V. Maria. Trattandosi di un monastero fin dall’inizio femminile è possibile che si sia voluto deliberatamente orientare la chiesa verso il tramonto del Sole nella ricorrenza di queste due insigni Sante.
Sono state infine prese le altezze e gli azimut di tutte le monofore della struttura da tre punti di stazione differenti: il limite interno dell’abside, il limite esterno dell’abside (presunto transetto) e l’atrio della chiesa. L’unico dato interessante è la declinazione –23,43° fornita dalla finestra E della navata S che permetteva l’ingresso della luce del sole al solstizio d’inverno.
 
Chiesa di S.Lorenzo al Caprione (SP)
Lat. 44°05'23"N; Long. 9°55'48"E; q.m. 230 s.l.m. (foglio I.G.M.I. 1:50.000)
La chiesa di S. Lorenzo ai Monti sul promontorio spezzino del Caprione (o Carpione, nella dicitura più moderna) viene citata per la prima volta nell'anno 1297 nei Registri Vaticani delle Decime. Successivamente, nell'Estimo della Chiesa Lunense 1470-1471 è citata fra le dipendenti della pieve di Trebbiano come "chiesa de Carpiono".
Di essa abbiamo pochissime notizie storiche, sembra che essa non sia mai stata pieve e forse neppure autonoma, ma sempre dipendente da qualche chiesa maggiore; non sappiamo se fosse officiata dal clero diocesano o da quello regolare; non conosciamo la data della sua costruzione ne quello del suo abbandono. Attualmente è ridotta ad un rudere, circondato da resti di costruzioni ancora meno leggibili (un villaggio? un monastero?): restano l'abside, l'intero muro settentrionale, il campanile inglobato nel corpo dell'edificio con una sorta di corridoio o ambulacro d'accesso, circa un terzo del muro meridionale. Sull'abside si notano tracce di affreschi e tre monofore. Manca completamente l'altare del quale, stranamente, non si notano neppure le tracce. La navata è unica.
In queste condizioni di conservazione abbiamo potuto misurare con precisione l'orientamento azimutale della navata e, con molta maggiore incertezza, ipotizzando il centro dello scomparso altare al centro dell'apertura dell'abside, quello delle monofore.
Sono state eseguite serie di misurazioni in tre giorni diversi e per i calcoli sono state utilizzate le medie dei valori ottenuti.
L'azimut medio delle prime due serie di misure è pari a 89,99° con e.q.m. ±1,24; se consideriamo anche la terza, risulta pari a 90,6° con e.q.m. ±1,9.
L'edificio giace, quindi, esattamente sull'asse equinoziale. Il fatto è stato verificato anche visivamente.
 

Bibliografia

Bonòra V., Calzolari E., Codebò M., De Santis H. (1999). Gli orientamenti delle chiese del Caprione (SP) e dell'isola di Bergeggi (SV).
In: Atti del XVIII Congresso Nazionale C.N.R. di Storia della Fisica e dell'Astronomia, Milano, pp. 285-292, http://albinoni.brera.unimi.it/Atti-Como-98.

Bonòra V., Codebò M., De Santis H., Marano Bonòra A. (2000). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Michele e di S. Lazzaro a Noli (SV).
In: Atti del XIX Congresso Nazionale C.N.R. di Storia della Fisica e dell'Astronomia, Milano, http://albinoni.brera.unimi.it/Atti-Como-99

Codebò M., De Santis H. (2003). Studi di archeoastronomia nel Genovesato. In: Atti del I° convegno S.I.A., Padova 28-29/09/2001.

Bonòra V., Codebò M., De Santis H., Marano Bonòra A. (2004). Gli orientamenti astronomici delle chiese di S. Giulia e S. Margherita di Capo Noli.
In atti del II° Convegno S.I.A., Monte Porzio Catone (Roma) 27-28/09/2002.


L’osservazione delle macchie solari
   Relatore: FERRARI D.ssa Stefania
Osservatorio Astronomico di Perinaldo
 
L’OSSERVAZIONE DELLE MACCHIE SOLARI
 
 
 

L’osservazione visuale del Sole non necessita di strumenti particolarmente potenti. Infatti in questo campo è possibile fare ricerca anche con telescopi di diametro inferiore ai 150 mm: anzi in alcuni casi è consigliabile l’utilizzo di piccoli strumenti, per attenuare il più possibile l’effetto negativo della turbolenza atmosferica sull’immagine della nostra stella.
Nelle mie osservazioni, utilizzo un telescopio riflettore Newton di 100 mm di diametro e 1000 mm di focale in montatura equatoriale tedesca, a cui applico un filtro Astrosolar a tutta apertura. Metto in postazione lo strumento all’interno di una stanza con la finestra semichiusa in modo da ripararmi il più possibile dalla luce diretta del Sole. In questo modo lo strumento rimane protetto dal vento. Punto il Sole indirettamente proiettando su una parete della stanza l’ombra del tubo del telescopio, in modo che l’ombra dello stesso abbia le dimensioni minime. Applico un oculare che mi permetta di osservare l’intero disco solare e inizio a riportare sulla scheda di osservazione i principali gruppi di macchie visibili sulla fotosfera.
In questo modo eseguo un’ ”osservazione diretta” delle macchie solari, invece dell’ “osservazione per proiezione” utile per individuare con buona precisione la posizione delle macchie sul disco solare, ma che è piuttosto scomoda e poco efficiente con il tipo di telescopio in mio possesso.
Ecco qui di seguito la descrizione dettagliata delle varie fasi dell’osservazione:

- Prendere nota delle condizioni del cielo (s1) con un valore da 1 a 9 (come da tabella); per valori maggiori o uguali a 6 l’osservazione non risulta attendibile.
- Prendere nota del seeing (s2) con un valore da 1 a 6 (come da tabella); l’effetto di seeing è l’indice della turbolenza atmosferica riscontrabile come una “increspatura” sul bordo del Sole: più è marcata e più il valore di seeing è alto. Per valori superiori a 5 l’osservazione non risulta attendibile.
- Prendere nota dell’ora di inizio dell’osservazione in T.U.. Se si dispone delle esatte coordinate del sito osservativo, si può calcolare il valore di T.U. per il sito stesso.
- Riportare sulla scheda osservativa tutte le macchie visibili.
- Determinare i punti cardinali solari Est-Ovest: senza inseguimento, il bordo Ovest sparisce per primo dal campo oculare mentre il bordo Est per ultimo.
- Determinare i punti cardinali Nord-Sud: muovendo il telescopio verso il Nord del cielo il bordo Sud sparisce per primo.
- Segnare il numero di macchie visibili a occhio nudo.
- Prendere nota dell’ora della fine dell’osservazione in T.U.
- Prendere nota della temperatura.
- Riportare le condizioni generali dell’osservazione C.G.O. con valori da 1 a 6 (come da tabella).
- Misurare Altezza e Azimut del Sole. L’Azimut si misura in gradi a partire da Sud verso Ovest (positivo) o verso Est (negativo). L’Altezza del Sole si può misurare con una bussola dotata di clinometro (va bene anche il “metodo della matita”).

TABELLE
 
 
 
 
 Tabella osservazione del sole
 
 
 

Terminata l’osservazione e completato il disegno, con i dati raccolti è possibile calcolare il numero relativo di Wolf:

R = (k + s1 + s2) (10 NG + NM)
Con:
NG =  conteggio dei gruppi (i pori isolati rappresentano una macchia e un gruppo)
NM = conteggio delle macchie
k     =  coefficiente dipendente dal diametro dello strumento utilizzato (ad esempio, per D = 100 mm, k = 0.95)
s1  ed s2 sono calcolati in base ai corrispondenti valori indicati nelle tabelle.

Avendo a disposizione un almanacco astronomico, dove sono riportate le tabelle mensili dei dati relativi alla posizione dell’asse di rotazione e del centro del disco del Sole, è possibile calcolare il numero di macchie e di gruppi presenti nei due diversi emisferi solari Nord e Sud. Ecco qui di seguito la procedura:

- I punti cardinali N-S-E-O sono già stati riportati sul disegno; ora occorre trovare i punti nord NV e Sud Sv veri del Sole a partire dai valori dell’angolo di posizione dell’estremità nord dell’asse di rotazione solare P e della latitudine eliografica del centro del disco del Sole B0: dal punto N segnare NV misurando P
(in senso antiorario da N se P è positivo, in senso orario da N se P è negativo).
- Indicare i punti veri Nv-Sv-Ev-Ov.
- Segnare il punto di massima distanza dell’equatore solare dal centro del disco apparente, a partire dalla distanza angolare B0 (un valore negativo indica che il Polo Nord solare è inclinato lontano dalla Terra di una quantità pari a B0).
- Tracciare l’equatore solare e contare il numero di macchie e gruppi dell’emisfero Nord e Sud.

Con questi dati si può completare la compilazione della scheda di riepilogo mensile.
 

Le schede giornaliere e mensili vengono periodicamente inoltrate, sia in formato cartaceo che su supporto informatico, al responsabile della Sezione di Ricerca Sole dell’Unione Astrofili Italiani, per la riduzione e l’analisi dei report di tutti i collaboratori. I resoconti osservativi annuali della Sezione Sole sono pubblicati a cura del responsabile sulla rivista sociale U.A.I. “Astronomia”.

Bibliografia
Piovan L., Schede del manuale della Sezione Sole, U.A.I.
Bianucci P., Il Sole, Giunti Editore, 1992
Godoli G., Il Sole, in Astronomia alla scoperta del cielo, volume secondo, Armando Curcio Editore, 1985
Piovan L., Astronomia, 4, 20 (1991), Metodologie osservative solari con l’uso del rifrattore
Piovan L., Astronomia, 5, 30 (1991), Metodologie osservative solari con l’uso del rifrattore (II)
Piovan L., Astronomia, 6, 12 (2003), il Sole nel 2001

Altri riferimenti
Osservatorio Astronomico Comunale “G.D. Cassini” di Perinaldo: astroperinaldo@libero.it
U.A.I. Unione Astrofili Italiani: www.uai.it , info@uai.it
Sezione di Ricerca Sole dell’U.A.I.: sole.uai.it , sole@uai.it


Revisione statistica Legge di Titius Bode
Relatore: BAUDA’ Ing. Alberto
Socio Unione Astrofili Italiani
 
Una revisione statistica della legge di Titius-Bode
 
Premessa
Da quando, nel lontano 1766, G. D. Titius sviluppò una semplice teoria sulle distanze (o"spaziatura") dei pianeti nel Sistema Solare, molti astronomi si sono dedicati al perfezionamento, ovvero alla revisione di quella legge, nota in seguito con il nome di Titius-Bode. Non solo astronomi illustri come l'Armellini ma anche una numerosa schiera di astrofili si sono appassionati al problema, cimentandosi in varie proposte di revisione. Nuove formule furono proposte in tempi recenti da astrofili (Una nuova formula sulle distanze orbitale, G. Pavone, in Orione n. 6/1987 e Distanze di pianeti e satelliti nel sistema solare, G. Lupato, in Astronomia UAI, gennaio-aprile 1993), anche se dal punto di vista teoretico la questione non riveste rilevanza pari all'interesse suscitato, trattandosi sempre di approcci empirici mediante successioni numeriche crescenti.
Infatti i miglioramenti ottenuti si riferiscono alla "bontà di adattamento" della successione numerica individuata, che, però, ispirandosi a funzioni esponenziali, a progressioni geometriche, alla serie di Fibonacci e ad altre funzioni monotone crescenti, rimane, nella generalità dei casi, avulsa da una teoria coerente e corrispondente, che ne spieghi le cause fisiche.
Perciò tutte le proposte risultano superiormente illimitate, mentre già Plutone ha offerto fino dalla sua scoperta un'anomalia considerevole in quanto la sua distanza media è troppo prossima a quella di Nettuno per confermare una teoria indefinitamente crescente nella progressione delle distanze. Tale anomalia, raffigurata nell’andamento a forbice tra curva reale e legge di Titius-Bode in figura 1, la rende improponibile, così come a tutt’oggi formulata, soprattutto se confrontata con le distanze dei corpi transnettuniani.

D'altra parte gli scettici sostengono, dal punto di vista matematico, che, data una qualsiasi successione finita, è sempre possibile individuare una legge che la approssimi con la voluta tolleranza, sicché l'indagine sulle distanze planetarie si ridurrebbe quasi a un esercizio di matematica “dilettevole e curiosa”.
Oggi la scoperta di Quaoar a 43.4 UA consente una rivisitazione più obiettiva delle ipotesi formulate, anche in relazione all’accertata presenza della fascia di Kuiper, con la sua ricca collezione di corpi orbitanti.

L’approccio statistico.
La semplice osservazione del classico grafico, che pone in ascisse n (numero d'ordine della successione) e in ordinate la distanza in UA, mette in evidenza che la curva empirica, che unisce i punti noti, Quaoar compreso, assume la forma sigmoide tipica di molti fenomeni naturali, economici e anche sociali.
In effetti un gran numero di fenomeni fisici e umani può ricondursi alla famiglia delle curve sigmoidi, soprattutto a quelle di Verhulst, di Gomperetz, dell'integrale della funzione "errore" di Gauss, che interpretano le fasi ben conosciute del lento sorgere, del successivo progressivo sviluppo, e della definitiva tendenza asintotica verso il limite superiore, comprese in una striscia semi infinita (0 < n < +infinito). Per esempio, le epidemie seguono, come numerose tipologie di mercato, tale prevedibile e razionale evoluzione nel tempo "t" che, nei casi indicati, sostituisce la variabile "n".
Per l'applicazione alle distanze nel Sistema Solare sussistono alcune difficoltà; in particolare è sempre stato dubbio se considerare la fascia degli asteroidi equivalente a un pianeta con n = 5 ovvero non considerarla. Si dimostrerà la trascurabile rilevanza di tale considerazione. Inoltre, mentre le curve sigmoidi esistono in una striscia di ampiezza infinita, nel caso del Sistema Solare occorre considerare solo il campo di esistenza positivo; ciò peraltro trova una certa spiegazione nel limite inferiore di Roche, individuato dall'intercetta con l'asse delle ordinate (valore per n = 0).
La distanza della cintura di Kuiper intorno a 60 UA potrebbe agevolare la determinazione delle opportune costanti, fissando una delle necessarie e precisamente l'asintoto superiore. Infatti la relazione generale di Verhulst (detta anche logistica o autocatalitica o di Pearl) pone:

dove D = distanza dal sole in UA del pianeta ennesimo; a, b, c opportune costanti. In particolare a rappresenta il valore dell'asintoto superiore.
Utilizzando il metodo dei minimi quadrati è possibile, con approccio statistico, valutare i valori più opportuni per ottenere il coefficiente di determinazione più prossimo a 1, corrispondente alla perfetta rispondenza tra dati sperimentali e valori teorici. Esso equivarrebbe alla (improbabile) perfetta comprensione di fenomeni complessi, tipici dei grandi sistemi, multifattoriali e altamente connessi all'interno. D’altra parte, l’approccio statistico non può che fornire una visione d’insieme senza precisioni di grande dettaglio.
L'approccio statistico mostra però alcuni motivi di interesse per:
- verificare se le distanze dal sole dei corpi orbitanti nelle regioni più estreme del sistema si addensino tendenzialmente intorno al valore dell'asintoto superiore del modello di Verhulst;
- interpretare il significato fisico del modello;
- prevedere la distanza dei corpi transnettuniani ancora da scoprire, presumibilmente entro la cintura di Kuiper.
Peraltro, non essendovi limite a n, non si pone alcun problema di rappresentazione dei corpi della fascia di Kuiper, pur mantenendo finita l’ampiezza massima del sistema.

Il modello di Verhulst
Seguendo questo approccio statistico si ottengono i risultati illustrati nella tabella 1, trascurando la fascia degli asteroidi. Con a = 47.53 UA, sorprendentemente prossimo al valore di circa 50 UA della cintura di Kuiper, b = 1090 e c = -0.943, si ottiene un valore di R² = 0.99937, talmente elevato da escludere ogni ca-sualità. Gli scostamenti più vistosi (figura 1) si indi-viduano per i pianeti interni, tuttavia poco influenti nel calcolo di R², che è il parametro di rispondenza statistica più affidabile.
Aggiungendo la presenza di un virtuale pianeta nella cintura degli asteroidi a 2.8 UA si otterrebbe R² = 0.99878 ancora assai elevato e a = 48.23 UA, non molto discosto dal valore precedente, significando una scarsa rilevanza di tale elemento di calcolo, legato alla visione ristretta dei pianeti allora conosciuti e più vicini al Sole.
Peraltro, il modello deriva dall'ipotesi dell'interazione tra un’azione propulsiva proporzionale a n e un’azione resistente proporzionale a n², espressa dall'equazione differenziale chiamata "epidemica" che, integrata, porge la formulazione impiegata. Esso offre, quindi, una possibilità interpretativa di tipo teorico per superare i limiti dell'approccio puramente statistico.

Il modello di Gompertz
Il modello sigmoide di Gompertz, a differenza di quello di Verhulst, non presenta simmetrie. Applicato al Sistema Solare offre un limite superiore di distanza per 57.58 UA e un valore di R² = 0.99659 ancora sorprendentemente elevato, pur mostrando con evidenza un'eccessiva sottovalutazione delle distanze dei pianeti interni all'orbita gioviana. L'equazione, sempre funzione di 3 parametri, è, con la nota simbologia, la seguente:

La rappresentazione grafica è assai simile alla precedente e conferma la validità dell'ipotesi sigmoide senza, peraltro, nulla aggiungere.
Non utile appare invece l'applicazione della circa integrale di Gauss.
La tabella 2 riporta il valore dei tre parametri “ottimi” per i due modelli e i relativi valori del coefficiente di determinazione R2 e della sommatoria dei quadrati degli errori.

Conclusioni
L'applicazione di un modello superiormente limitato di tipo sigmoide appare più precisa e coerente con le nuove scoperte di corpi transnettuniani e con una visione più ampia del Sistema Solare, offrendo le possibilità di verifica sperimentale con le distanze rilevabili dei corpi più lontani e di approfondimenti teorici sull'origine e la struttura del sistema stesso. Veri e propri confronti potranno essere condotti con altri sistemi planetari di cui si conoscano le distanze progressive al fine di dedurre una formulazione del tutto generale, che possa comprendere anche i casi limite come quelli binari. È possibile infatti generalizzare il modello per l’esistenza di n corpi all’interna di una definita striscia distanze-numero progressivo.


Marte: la grande opposizione del 2003
Relatore: GHIONE  Dr. Ugo
Gruppo Astrofili Orione – Pietra Ligure
 
Marte 2003
 Elaborazioni di immagini con la webcam
 
 
 

Mai così vicino, quante volte lo abbiamo sentito dire l’estate scorsa, quante volte lo abbiamo detto indicando quel brillantissimo astro ai curiosi che venivano alle serate che abbiamo organizzato. Marte è stato il vero protagonista dell’estate scorsa, ma questa opposizione è stata molto favorevole non solo per la distanza fisica del pianeta rosso dalla Terra, Marte è stato avvicinato moltissimo dalle nuove tecnologie, infatti con una semplice webcam è stato possibile riprendere delle immagini che solo pochi anni fa erano possibili solo con grandi telescopi professionali.
Abbiamo ottenuto le nostre immagini applicando la webcam ad un telescopio Schmidt - Cassegrain 12” portato a f/30 con una barlow 3X, i filmati sono stati ripresi con una Toucam Pro con riprese di 100 secondi a 30 fotogrammi al secondo.
Dai circa 3000 fotogrammi così ottenuti sono stati selezionati i fotogrammi migliori, circa 1800, sommati ed elaborati con il software IRIS con la tecnica LRGB, per la luminanza si è utilizzato un filtro IR-pas mentre i canali RGB sono stati ripresi applicando un IR-cut.
Le immagini sono state riprese dopo lunghe serate osservative cercando di cogliere il momento con il seeing migliore che in genere si è avuto poco dopo il passaggio al meridiano come si può vedere nelle seguenti immagini riprese rispettivamente il 23 agosto all’1.30 TL, l’1 settembre all’1.00 TL e il 21 settembre all’1.30 TL.

L’immagine è poi stata ulteriormente elaborata modificandone luminosità, contrasto e con il procedimento della maschera sfuocata mettendo così in evidenza dettagli che nemmeno si potevano immaginare dalle immagini grezze.
Dalle immagini che qui vi mostriamo, riprese con questa tecnica da Angelo Zampedri, direttore dell’osservatorio di Castagnabanca, si possono osservare parecchi dettagli della superficie di Marte, la rotazione del pianeta e diversi dei principali fenomeni atmosferici di marte come le nubi mattutine e le tempeste di sabbia.
Con l’uso della webcam e dell’elaborazione digitale delle immagini si aprono nuove prospettive all’astrofilo, uno nuovo modo di effettuare l’osservazione planetaria che se utilizzato nella maniera più opportuna non mancherà di produrre risultati più che soddisfacenti.


La ricerca astronomica amatoriale
Relatore: LOPRESTI Dr. Claudio (1)
Componente Consiglio Direttivo UAI - I.R.A.S. – G.A.D. – La Spezia
La ricerca astronomica amatoriale.

La ricerca astronomica profonda, un tempo appannaggio quasi esclusivo dei professionisti, ha subito negli ultimi tempi una trasformazione che è dovuta in gran parte all’uso, da parte degli astrofili, di apparecchiature e sistemi digitali che consentono ora, per chi ha i mezzi e le conoscenze adatte, oltre che la voglia di fare ricerca, valide attività in collaborazione stretta con le strutture professionali.
Occorre essere attivi nel primo passo della ricerca, come, ad esempio, la scoperta di supernovae e nuovi asteroidi, e la successiva conferma. Molti di noi sono impegnati nel miglioramento della conoscenza dell’orbita di pianetini e dell’astrometria. Nel campo degli asteroidi, appena viene comunicata la scoperta di un nuovo oggetto, bisogna seguirlo per fornire, con i dati osservativi, la possibilità di determinare l’orbita e scoprire se si tratta di un oggetto potenzialmente pericoloso o no.
Possiamo senz’altro portare un contributo particolare alla conoscenza dei NEO, in quanto quello che rimane da scoprire dopo le scansioni sempre più particolareggiate del LINEAR, è patrimonio delle attenzioni di una moltitudine di osservatori che con la loro attività permettono di isolare ed evidenziare le cosiddette “orbite sospette” come quelle che dovessero essere classificate come potenzialmente pericolose a quantomeno degne di attenzione per un monitoraggio continuo, come appunto necessario nel campo dei NEO.
E’ di questi giorni la notizia che un asteroide di una trentina di metri ha sfiorato la Terra ad una distanza di meno di 50.000 Km.
Le Sezioni di Ricerca UAI stanno studiando nuovi standards fotometrici e nuove possibili tecniche di fotometria per l’analisi CCD allo scopo di misurare la magnitudine e di fare l’analisi comparata dei dati; con pacchetti software in parte realizzati anche dal GAD; si studiano le attività del nucleo, dei getti nucleari e la morfologia della coda.

Ho fondato il GAD agli inizi degli anni ’90, quando eravamo ancora nella preistoria nell’uso dei CCD nell’astronomia amatoriale. Per questo l’iniziativa fu affascinante:  in pratica riuscimmo ad aggregare persone intorno a un polo di interesse per certi versi allora misterioso anche per gli addetti ai lavori. Quello che è accaduto con l’avvento dei CCD in campo amatoriale ha permesso a tanti validi astronomi non professionisti di realizzare quello che dieci anni fa poteva essere considerato solo un sogno, trasformato ora in realtà. Il GAD, che coordino dalla sede di La Spezia sin dalla fondazione, ha organizzato ben undici convegni nazionali in numerose località italiane e il XII° avrà luogo, in ottobre 2004, a Gubbio, con la presenza di personaggi di livello mondiale, come l’astronomo Halton Arp e il famosissimo autocostruttore americano di telescopi John Dobson.

Abbiamo nel GAD persone che si interessano di produzione e messa a punto di software di analisi e trattamento delle immagini, sia sotto windows che sotto linux; per fare un esempio, Astroart, realizzato dagli operatori del GAD dell’osservatorio di Cavezzo, è un software di elaborazione immagini tra i più sofisticati, anche tenendo conto dei famosi e costosi programmi d’oltreoceano. Abbiamo tecnici e progettisti che costruiscono sistemi elettronici di ripresa e camere CCD.
Soprattutto abbiamo programmi di ricerca nei campi della fotometria digitale e programmi di ricerca pianetini e supernove che portano a risultati importanti; posso citare le scoperte effettuate in questi campi: centinaia di pianetini scoperti e la scoperta di supernove fra cui quelle che sono risultate essere le più distanti mai scoperte in tutti i tempi da non professionisti, come ad esempio la SN 2000 dl, distante 1,040 miliardi di anni luce.

Nella UAI ho l’incarico di coordinare le 10 sezioni di ricerca attive cui partecipano gli astrofili. Alcune dedite ad attività più vicine alla ricerca, altre sono invece attività astronomiche culturali o di palestra di studio. C’è la Sezione Cielo Profondo, che si rivolge in maniera prioritaria all'osservazione estetica del cielo; la Sezione Quadranti Solari che opera ne campo degli arredi urbani, di piazze e luoghi di carattere pubblico, o anche alla realizzazioni di quadranti solari su abitazioni private e così via.
La Sezione Meteore studia la densità spaziale dei meteoroidi incontrati dalla Terra e le eventuali variazioni nel tempo, analizza la distribuzione della luminosità in rapporto al numero di meteore rilevate, ottiene informazioni sulla distribuzione delle correnti meteoriche, individua eventuali nuovi radianti attivi, studia le reali traiettorie atmosferiche dei bolidi e cerca l'eventuale caduta di meteoriti per classificare corpi meteorici e catalogare nuove zone di caduta. Poi c’è la Sezione Asteroidi, che si occupa di astrometria, fotometria visuale, fotometria fotoelettrica, astrometria CCD, fotometria CCD; infine la Sezione Comete, che opera nella ricerca di sistemi fotometrici CCD standard su comete e ha frequenti contatti con astronomi professionisti.
La Sezione Pianeti ha studiato fenomeni mutui dei satelliti di Saturno e Giove, durante le opposizioni del 1995 e del 1997. Nell’ambito della prima campagna è stata svolta una missione osservativa presso l’Osservatorio del Pic du Midi (Francia). Questa Sezione collabora con importanti associazioni ed Enti professionali.
La Sezione Sole si occupa di registrazione dell'attività fotosferica in luce bianca, conteggio delle macchie e dei gruppi, registrazione con disegno della proiezione giornaliera, la Sezione Stelle Variabili ha nei programmi nuove variabili, ed ha contatti con le maggiori associazioni internazionali (AAVSO, AFOEV,GEOS e VSNET); ha al suo attivo la scoperta (Giugno 1997), ad opera proprio di Sergio Dalla Porta, della variabilità della stella HD 183361, denominata V2080 Cyg, è stata classificata come binaria ad eclisse di tipo EA.
La Sezione Occultazioni ha una prevalente attività nelle occultazioni lunari radenti, per una migliore conoscenza dei profili lunari e posizione del corpo occultato, occultazioni asteroidali (per il raffinamento delle orbite dei pianetini e la determinazione della forma), occultazioni di stelle da parte di satelliti di pianeti con sospetta atmosfera (che permettono, nei casi ottimali, di ottenerne informazioni), fenomeni mutui di eclissi e occultazioni dei satelliti di Giove e Saturno (mediante partecipazione alle campagne internazionali di osservazione).
Questa sezione collabora con la Sezione Europea della International Occultation Timing Association (IOTA-ES).
La Sezione Luna U.A.I. partecipa al monitoraggio della Luna indetto dall'A.L.P.O. (Association of Lunar and Planetary Observers) ed esplica la ricerca in monitoraggio sistematico di eventuali fenomeni lunari transienti (TLP), studio di dettaglio di particolari morfologici e domi lunari sotto determinate condizioni di illuminazione non disponibili negli archivi professionali, impatti lunari (la prima conferma della realtà dei flash dovuti ad impatto meteorico sulla Luna sono arrivate da osservazioni e registrazioni video amatoriali in occasione del passaggio delle Leonidi nel 1999).

(1)
- Presidente dell’IRAS (Istituto Spezzino Ricerche Astronomiche)
- Coordinatore Nazionale del GAD (Gruppo Astronomia Digitale)
- Consigliere UAI e coordinatore delle Sezioni di Ricerca
- Responsabile del Settore non Professionisti della SAIt (Società Astronomica Italiana)
- Segretario della IUAA (International Union of Amateur Astronomers)

e-mail : yclop@yahoo.it

Siti web:
IRAS  www.astronomiadigitale.org/iras
GAD: www.astronomiadigitale.org
UAI:  www.uai.it