ARCHEOASTRONOMIA LIGUSTICA

 

 

Pubblicato in: Il cielo e l’uomo: problemi e metodi di astronomia culturale, Atti del VII Congresso Nazionale della Società Italiana di Archeoastronomia, ed. Società Italiana di Archeoastronomia, Roma 2010, pp. 119-131, ISBN 978-88-904402-0-5.

Già pubblicato sugli Atti del X seminario A.L.S.S.A. di Archeoastronomia, Genova 12 aprile 2008, pp. 76-87.

 

 

TEMPO DELLA CREAZIONE E CICLO PRECESSIONALE NELLA BIBBIA

 

Ettore Bianchi, Mario Codebò, Giuseppe Veneziano

 

 

Summary (by Ettore Bianchi).

In this collective paper we regard two very different chronological schemes implied in the Old Testament. At first, the well-known Masoretic Text[i], written in Hebrew, represented the religious events of the Jews as if the Creation of the World dated from about 4000 BC. Instead the later version of the Bible, so called Septuaginta, went back to 5500 BC in order to set the Origins of Mankind. Such a difference of views is a complex question to understand.

In our opinion both of the sides arranged their narrative subject according to large spans of time, whose lenght was mainly deduced from the phenomenon known as the precession of equinoxes. Indeed, if one assumes that the vernal point γ started its movement through the signs of the Zodiac when it was in the constellation of Taurus, it follows that, some thousands of years after, the Sun at the spring equinox crossed the Aries and next began to be outlined in Pisces. The authors of the Masoretic Bible obtained a period over 4000 years because they used a rate of precession defined with high accuracy, around 50" per annum: a value that really occurs. On the other hand the Seventy Translators, who described a longer course of the same Holy History, guessed that the heavenly vault was receding slowly, at a little more than 36” p.a.; obviously they choosed an erroneus measure, but one ready for prevalence in the circle of Hellenistic scientists.

In the end, we suggest that Jewish astronomical culture, sometimes wrongly defamed, reached a good level, perhaps having taken advantage of previous results performed by Chaldeans and Egyptians; anyway before the appearance of Hipparchus from Nicea (190-120 BC).

 

Parte I: La Creatio Mundi secondo la cronologia dei testi masoretici (di Giuseppe Veneziano).

Ciò che si sa della cronologia dei popoli antichi, derivata dalle loro stesse fonti secolari, è stato faticosamente ricostruito in base ad informazioni frammentarie desunte da monumenti e tavolette o dagli scritti di epoca più tarda degli storiografi d’epoca greco-romana. La cronologia biblica invece, soprattutto quella che si rifà ai testi masoretici, presenta un quadro coerentemente particolareggiato e continuo di 4000 anni di storia. Come esempio, analizzeremo qui di seguito, a ritroso e suddividendola per tappe, la cronologia che è adottata dalla confessione cristiana dei Testimoni di Geova. In effetti, tutte le considerazioni svolte in questo paragrafo fanno riferimento alla “Traduzione del Nuovo Mondo” delle Sacre Scritture (Aa. Vv. 1987) e alle considerazioni che se ne possono desumere (Aa. Vv. 1990 e 1991).

La data fondamentale per risalire all’indietro, verso il primo annus mundi è quella del 539 a.C. (o 539 avanti l’Era Volgare, a.E.V., come correttamente usano dire i Testimoni di Geova), anno in cui la dinastia regale babilonese fu rovesciata dai Persiani di Ciro il Grande. Nel suo primo anno di regno, dalla primavera del 538 alla primavera 537 a.C., Ciro emanò un decreto con cui concedeva agli Ebrei esiliati in Babilonia il ritorno in patria. Secondo quanto riportato nel libro biblico di Esdra, il ritorno degli Israeliti a Gerusalemme si concretizzò entro il settimo mese (tishri, corrispondente al periodo settembre-ottobre) di quello stesso anno (Esdra 3:1). L’autunno del 537 a.C. costituisce quindi la data della restaurazione dell’adorazione di YHWH (dal momento che nella lingua ebraica le vocali non erano scritte ma venivano inserite durante la vocalizzazione, per una scelta culturale del popolo ebraico si è persa l’esatta pronuncia del tetragramma rappresentante il nome di Dio. Attualmente si propende per le pronunce Yahweh o Geova) a Gerusalemme e segna la fine di un periodo profetico di 70 anni di esilio, preannunciato dal profeta Geremia (Geremia 25:11-12; Geremia 29:10), durante i quali la Terra Promessa e Gerusalemme dovevano divenire un luogo devastato. Ciò vuol dire che la devastazione di Gerusalemme ad opera del re babilonese Nabucodonosor era avvenuta 70 anni prima, cioè nel 607 a.C., data che costituisce la prima tappa del nostro viaggio cronologico.

Calcolando ora a ritroso la somma degli anni di reggenza di tutti i re di Giuda a Gerusalemme, partendo da Sedechia, portato in prigionia da Nabucodonosor a Babilonia, per arrivare al re Roboamo, si ottiene un totale di 393 anni. In tale periodo bisogna prendere atto di un’unica co-reggenza, riportata nel testo masoretico ed in alcuni dei più antichi manoscritti della Bibbia. È il caso del re Ieoram, che secondo tali scritti “divenne re mentre Giosafat era re di Giuda” (II libro dei Re 8:16). In tal modo l’intero periodo di reggenza di tutti i re di Giuda a Gerusalemme sarebbe di 390 anni. Si arriva così (607 + 390) al 997 a.C., anno in cui avviene la divisione del Regno delle Dodici Tribù nei due distinti regni di Giuda e Israele, poi Samaria, e che costituisce la seconda tappa del viaggio cronologico.

Poiché il 997 a.C. segna anche l’ultimo dei 40 anni di regno completi di Salomone, ne consegue che il suo primo anno di regno deve essere iniziato nella primavera (il mese di nisan, corrispondente al nostro periodo marzo-aprile) del 1037 a.C. Ora, la Scrittura (I Libro dei Re, 6:1) dice testualmente: “E avvenne, il quattrocentottantesimo anno dopo l’uscita dei figli d’Israele dal paese d’Egitto, nel quarto anno, nel mese di ziv, cioè il secondo mese, dopo che Salomone era divenuto re su Israele, che egli edificava la casa di YHWH”. La casa di YHWH era il famoso tempio di Salomone a Gerusalemme; “quarto” è un numero ordinale che equivale rispettivamente a tre anni completi più un certo periodo di tempo, che in questo caso è un mese (dal nisan del 1037 a.C. allo ziv del 1034 a.C.). Anche “quattrocentottantesimo” è un numero ordinale, corrispondente a 479 anni interi più un certo periodo di tempo, anche in questo caso un mese (dal nisan della data che vogliamo calcolare al ziv del 1034 a.C.). Si arriva così, tramite un semplice calcolo aritmetico (1034 + 479), al nisan del 1513 a.C., come data nella quale gli Israeliti uscirono dall’Egitto; essa costituisce la terza tappa del viaggio cronologico per giungere alla Creatio Mundi.

Nel libro biblico dell’Esodo (Es. 12:40-41) viene detto che “la dimora dei figli d’Israele, che avevano dimorato in Egitto, fu di quattrocentotrenta anni”. Mentre molte traduzioni rendono il versetto 40 in modo da attribuire i 430 anni interamente alla permanenza degli Israeliti in Egitto, l’originale ebraico consente un’altra interessante interpretazione. Nella lettera dell’apostolo Paolo ai Cristiani della Galazia (Lettera ai Galati 3:16-17), si parla di un periodo di tempo di 430 anni che sarebbe intercorso relativamente a due patti. Il secondo era chiaramente il Patto della Legge, o Patto Mosaico, che Dio diede agli Israeliti subito dopo l’uscita dall’Egitto. Il primo accordo, più antico, era il Patto Abramico, vale a dire quello che Dio aveva fatto con Abramo nel momento in cui quest’ultimo, ubbidendo ad un Suo comando, aveva lasciato la città caldea di Ur e, attraversando il fiume Eufrate, era entrato nella terra di Canaan prendendo a dimorarvi (Genesi 11:31). Fu subito dopo essere entrato in Canaan, che Abramo ricevette da Dio la promessa che il suo seme sarebbe diventato una grande nazione e avrebbe preso possesso della Terra Promessa (Genesi 12:1-5). In considerazione del fatto che i 430 anni, finiti con l’esodo degli Israeliti dall’Egitto, erano iniziati con il trasferimento in Canaan di Abramo, la Bibbia in versione greca, cosiddetta dei Settanta, rende il medesimo passo (Esodo 12:40-41) nella seguente maniera: “Ma la dimora dei figli d’Israele che essi dimorarono nel paese d’Egitto e nel paese di Canaan fu di quattrocentotrenta anni”. Il Patto Abramico avvenne quindi nel (1513 + 430 =) 1943 a.C., quarta tappa del nostro viaggio cronologico.

La successiva tappa ci porta all’indietro fino al Diluvio; questo fu un avvenimento d’incalcolabile distruttività e, insieme, un fenomeno culturale di portata globale; non vi è infatti cultura al mondo che non riporti, in tutto o in parte, il resoconto di una inondazione universale. Il libro della Genesi enumera una serie di genealogie che dai superstiti del Diluvio scendono ad Abramo. In particolare viene riportato che Sem, uno dei tre figli di Noè, generò Arpaxad due anni dopo il Diluvio (Genesi 11:10). Secondo un calcolo cronologico basato sui primi testi masoretici, dall’inizio del Diluvio (durato 365 giorni) alla morte di Thera, padre di Abramo, quando lo stesso Abramo aveva 75 anni ed instaurò il patto con Dio, erano passati 427 anni, che sommati alla data della quarta tappa cronologica ci portano al (1943 + 427 =) 2370 a.C. come data del Diluvio.

L’ultima tappa del nostro viaggio cronologico si basa anche in questo caso sulla sequenza, esposta in Genesi, dei discendenti del primo uomo Adamo all’evento del Diluvio. Senza entrare nei dettagli[ii], si può asserire che, sommando gli anni di nascita dei primogeniti di ogni discendente di Adamo fino agli anni che aveva Noè al principio del Diluvio, si ottiene una cifra di 1656 anni. Questi, ulteriormente sommati alla data ottenuta dall’ultima tappa cronologica, ci portano ad una data della nascita di Adamo corrispondente al (2370 + 1656 =) 4026 a.C.

Dunque una ricerca sulla cronologia riportata nell’Antico Testamento ha condotto i Testimoni di Geova, dopo aver consultato tutte le fonti storiche, letterarie, archeologiche ed epigrafiche disponibili, ad una data per la Creazione di poco anteriore al 4000 a.C. In realtà chiunque si sia imposto la fatica non lieve di leggere con perspicacia le Scritture ebraiche e addizionare, libro per libro, le date di nascita e le durate di vita dei numerosi sommi sacerdoti, re, profeti e patriarchi d’Israele; a conti fatti ha dovuto riconoscere che la Creazione del Mondo, in termini di era volgare, si era verificata attorno al 4000 a.C. A tale conclusione giunse, agli inizi del V secolo della nostra era, Girolamo di Stridone, il curatore della celebre (Bibbia) Vulgata: per lui la nascita dei progenitori Adamo ed Eva si verificò nel 3984 a.C. (Buzzetti 1993). I Samaritani, esponenti di una corrente dell’Ebraismo pre-esilico particolarmente conservatrice, collocarono la Creazione nel 3912 a.C.; altrove, specialmente in Mesopotamia, la Sinagoga ufficiale e, nel suo seno, i rabbini compilatori del testo masoretico, preferirono arrestarsi al 3761, a condizione, però, di sottrarre arbitrariamente anni alla durata del dominio persiano sull’Oriente; errore che s’è tramandato dal Seder Olam Rabbah, operetta della serie talmudica, fino ai giorni nostri (AA.VV. 1971, pp. 1092-1093). In Europa, nel corso dell’età moderna, vennero proposti aggiustamenti al 4004, 4090, 4138 e 4173 a.C.; per esempio James Ussher (1581-1656), arcivescovo di Armagh e Primate della Chiesa Anglicana d’Irlanda, con i calcoli esposti nell’opera Annales Veteris Testamenti, A Prima Mundi Origine Deducti, fissò la Creazione a mezzogiorno del 23 ottobre del 4004 a.C. (Gribbin, 1998). Ad analoga conclusione era arrivato, ai primi del XVII secolo, il grande astronomo Johannes Keplero (De Santillana, Von Dechend, 1993, p. 315).

Questo corto ventaglio di datazioni, tutte convergenti intorno al 4000 a.C., andrà più sotto confrontato con altre cronologie bibliche, fondate sulla versione greca detta dei Settanta, che conducono a un I Annus Mundi con data molto antica, prossima al 5500 a.C. Per adesso ci piace d’anticipare una singolare coincidenza: proprio sul finire del V millennio prima di Cristo, nell’anno 4097, sembra essersi prodotta un’altra triplice congiunzione di Giove e Saturno, in quella stessa costellazione in cui era appena entrato il punto equinoziale γ, costellazione che in quel tempo era quella del Toro (Bianchi, Codebò, Veneziano 2005). Quindi è lecito supporre che i redattori delle Scritture Ebraiche, facendo risalire la Creazione del Mondo al 4000 circa, volessero in qualche modo tramandare il ricordo, secolo più, secolo meno, di un momento nel quale il punto vernale era appena entrato dai Gemelli nella costellazione del Toro; così come, nel 7 a.C., l’equinozio di primavera, sempre rappresentato dal punto γ, si sarebbe visto entrare nella costellazione dei Pesci. Se questa suggestione dovesse essere confermata, essa implicherebbe un alto grado di competenza, da parte degli scrittori della Bibbia, in materia di precessione degli equinozi.

 

Parte II: L’allungamento settantista della storia sacra (di Ettore Bianchi).

Dall’età di Esdra, intorno al 460 a.C., allorché fu realizzato il Pentateuco in lingua ebraica, oggi convenzionalmente denominato “pre-masoretico” o “vetero-palestinese”, spostiamoci verso il 285 a.C.: in quel tempo, dopo la grande stagione delle imprese militari condotte da Alessandro Magno, il Vicino Oriente era andato diviso, con le armi, le manovre diplomatiche e le alleanze matrimoniali, fra i diadochi, i signori della guerra che avevano servito il conquistatore appena scomparso; in particolare, dopo alterne vicende, i territori sulle rive del Nilo erano caduti nelle mani del potente generale Tolemeo, figlio di un tal Lago, dal quale tutti i successivi governanti dell’Egitto, fino alla celebre regina Cleopatra, avrebbero tratto il nome di Lagidi. Codesto Tolemeo I (305-283 a.C.) seppe costruire un reame prospero sopra tre fondamenti: una solida amministrazione civile di tradizione faraonica; un affidabile dispositivo militare imperniato sulla falange macedone; una cura illuminata per il progresso delle arti e delle scienze. Su quest’ultimo piano va posta in rilievo la fondazione in Alessandria, l’immensa e vivace capitale del nuovo Stato, della Biblioteca e del Museion, due istituzioni benemerite che ben presto divennero i principali fari di cultura del mondo mediterraneo. Una speciale attenzione, per quel che ci riguarda, va posta sull’azione di Tolemeo II Filadelfo (285-246 a.C.), figlio ed erede del precedente sovrano: costui, fra l’altro, protesse la popolazione giudaica del suo paese, formatasi già sotto il dominio persiano, ma incrementata con la liberazione di qualcosa come centoventimila schiavi di quella nazionalità (Joseph., Ant., XII, 4-118); per di più, il re incoraggiò gli Ebrei a rendere universalmente comprensibile la propria letteratura sacra, traducendola in lingua greca (Troiani 1987).

Al proposito, una fonte tardiva, redatta solo verso il 100 a.C. ma riportata come autorevole da Filone Alessandrino e Giuseppe Flavio, la “Lettera di Aristea” al fratello Filocrate, narra che il giovane Tolemeo II, vuoi perché tenesse in alta considerazione tutte le composite esperienze intellettuali dei suoi sudditi, vuoi perché fosse personalmente curioso delle implicazioni normative, etiche e giuridiche, degli insegnamenti di Mosè, diede mandato al bibliotecario di suo padre, Demetrio di Falero, ateniese, filosofo di scuola aristotelica e già sfortunato riformatore politico, di prendere contatti con le autorità religiose degli Ebrei, a Gerusalemme. In risposta alle sollecitazioni, il Sommo Sacerdote Eleazaro nominò 72 sapienti, 6 per ciascuna delle 12 tribù d’Israele, e li spedì presso la corte lagide; qui i dotti giudei furono accolti con tutti gli onori e tosto messi all’opera per realizzare una versione in Greco della Torah ebraica; compito che portarono a termine, si dice, nel giro di soli 72 giorni. Hé Bìblos, il grande libro prodotto dall’immane sforzo di codesti Settanta (e due) interpreti ricevette, per brevità, il nome di Ebdomìkonta, lat. Septuaginta, che oggi viene ulteriormente ridotto, in sede di citazione, al numerale LXX. Il successo di tale impresa editoriale, nel mondo ellenistico e romano, fu straordinario e durevole: la versione dei Settanta sarà usata anche dai Farisei, almeno fino alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., dai predicatori dell’età apostolica, dai redattori dei Vangeli e dagli apologeti cristiani nei primi secoli dell’era volgare; oggigiorno essa è la traduzione dell’Antico testamento più largamente accettata presso le Chiese d’Oriente, mentre, in Occidente, essa ha dovuto lasciare il posto alla traduzione latina effettuata da Girolamo, ma non prima del 700 d.C. (Veltri 1986).

La critica biblica contemporanea ha respinto certe notazioni colorite della Lettera di Aristea: da un lato seri dubbi possono nutrirsi intorno al numero, chiaramente simbolico, degli esperti coinvolti nella commissione e sui loro ritmi prodigiosi di lavoro. Probabilmente il primo gruppo di testi effettivamente tradotto ad Alessandria fu il Pentateuco, seguito dalla collezione dei Salmi, mentre, secondo l’evidenza filologica, gli altri libri vetero-testamentari furono resi in Greco a più riprese, nel corso dei secoli III e II avanti Cristo, e non tutti dalla scuola alessandrina (Cook 1985; Dorival 1991). D’altro canto la Lettera attribuisce esclusivamente la paternità del progetto di traduzione al capriccio di una grande personalità benevola, quella di Tolemeo II, tacendo sulle istanze missionarie della comunità giudaica residente in Egitto, la quale era in continua espansione e quindi necessitava di un aggiornato mezzo di proselitismo, presso i “gentili” che non capivano l’Ebraico (Harl, Dorival, Munich 1993). Comunque è indubbio che gli autori della LXX non si siano limitati a tradurre meccanicamente, parola per parola, l’Antico Testamento, ma che spesso abbiano aggiornato il contenuto stesso del messaggio biblico, adeguandolo alla nuova situazione sociale e ideologica in cui essi traducevano; vale a dire alla temperie spirituale inquieta di una metropoli, qual’era Alessandria, che parlava e pensava in Greco (Bogaert 1985).

Quello che importa, ai fini del nostro discorso, è che la versione greca della Bibbia mostrava di avere uno schema cronologico assai differente da quello adottato da Esdra, dopo il ritorno dalla “cattività babilonese”, e continuato poi dall’Ebraismo post-esilico. In particolare, al netto di banali errori dei copisti, le discrepanze si annidavano nei libri del Pentateuco, dov’erano narrate le vicende più incerte, quelle dalla costruzione del Tempio di re Salomone all’Esodo dopo la prigionia egiziana e quelle dal Diluvio Universale alla Creazione: per esempio nella recensione vetero-palestinese, a Genesi 11:12, si legge che Arpaxad a 35 anni generò Selach; nella LXX si legge che Arpaxad a 135 anni generò Cainan e che questi, a 130 anni, generò a sua volta Selach; quindi, a fronte di un periodo di tempo di 35 anni della prima versione si contrappone un periodo di (135 + 130 =) 265 anni della versione greca interpolata. Ovviamente non ha, per noi, alcuna importanza appurare chi avesse veramente ragione, in questa materia semi-leggendaria, e chi, piuttosto, avesse forzato la lettera dei passi originali: è probabile che non ci fosse ancora un testo unico concordato della Bibbia; è altrettanto chiaro che la divergenza era voluta, vale a dire cercata coscientemente dagli innovatori, che poi erano i Settanta: costoro, ritoccando sistematicamente al rialzo tutte le cifre possibili, si sforzarono di allontanare nelle profondità del tempo quella Creazione del Mondo, che i custodi della tradizione vetero-palestinese avevano fissato alla fine del V millennio prima di Cristo (Hasel 1978; 1980).

Senza ripetere la sequenza dei calcoli già abbozzata per le Scritture Ebraiche, si può riassumere la cronologia settantista come segue:

 

Eventi notevoli

Archi di tempo

Era Cristiana

Era mondiale

Avvento della dominazione macedone

 

 332 a.C.

5172° A.M.

Da lì alla fine della Cattività Babilonese

 205 anni

 537 a.C.

4967° A.M.

Quindi alla caduta di Gerusalemme

   70 anni

 607 a.C.

4897° A.M.

Quindi all’inizio del regno di Salomone

 438 anni

1045 a.C.

4459° A.M.

Quindi all’Esodo dall’Egitto

 620 anni

1665 a.C.

3839° A.M.

Quindi alla nascita di Mosé

   80 anni

1745 a.C.

3759° A.M.

Quindi alla nascita di Abramo

 425 anni

2170 a.C.

3334° A.M.

Quindi al Diluvio Universale

1072 anni

3242 a.C.

2262° A.M.

Quindi alla Creazione del Mondo

2262 anni

5504 a.C.

1° Annus Mundi

 

In poche parole, i Settanta amplificarono la storia umana di circa 1500 anni, spostando la Creazione dal 4000 al 5500 a.C. circa; sulla loro scia, ancora oggi, la maggior parte delle Chiese d’Oriente condivide una data della Creazione al 5492 a.C., per cui si parla di Era Alessandrina minore; fatti salvi possibili aggiustamenti al 5508, donde procede l’Era Alessandrina maggiore (Gelzer 1885, pp. 52-118).

Sorge spontanea una domanda: perché i Giudei in Alessandria si sentirono obbligati ad addentrarsi in una nuova, estenuante e talora capziosa ricostruzione della cronologia biblica, dalla Creazione del Mondo al tempo presente? La critica accampa, per lo più, una ragione esterna: la competizione con i Gentili nell’esaltare la precocità civile dei rispettivi popoli. In effetti, nello stesso arco di anni, la prima metà del III sec. a.C., nel quale si tradusse in Greco il Pentateuco, e pur sempre in ambito alessandrino, Eratostene di Cirene, lavorando sull’Iliade, stabilì che Troia era caduta nelle mani degli Achei 407 anni prima della celebrazione delle Olimpiadi pan-elleniche, cioè nel (776 + 407 =) 1183 a.C. Al che si aprì immediatamente un dibattito sulla “fanciullezza” dei Greci, i quali mostravano di non avere molte idee sugli avvenimenti accaduti prima di quell’epica vittoria; la questione, indirettamente, riguardava il loro buon diritto, in quanto semplici eredi di Alessandro il Macedone, di comandare sull’Ecumene (Wacholder 1968).

Il sacerdote egiziano Manetòne di Sebennytos elaborò una lista di dinastie regali, secondo cui esseri divini e semi-divini avevano governato il suo paese per ben 12843 anni, prima che salisse al trono un faraone mortale (Helck 1975; Redford 2001); ancora più disinvolto, il celebre astrologo Beròsso di Babilonia fantasticò di 432000 anni intercorsi tra la salita al potere di re Aloro, la prima figura dominatrice sull’area fra il Tigri e l’Eufrate, e il kataklysmòs del Diluvio Universale (Malamat 1968; Verbrugghe, Wickersham 1996, pp. 17-32). Davanti al fioccare di stime inaudite, si pronunciarono anche i dotti ebraici appartenenti alla scuola dei Settanta, inclini quindi a sostenere una Creazione al 5500 a.C.: un tale Demetrio il Cronografo scrisse, verso il 220 a.C., un acuto commentario quantitativo alla Genesi, andato purtroppo perduto, fatta eccezione per pochi sparsi frammenti, riprodotti da Alessandro il Poliistore e da Eusebio di Cesarea (Hanson 1985).

A nostro avviso, la spiegazione prevalente per la cronologia distintiva della LXX, quella di una sfida con esotici concorrenti per il primato etnico-religioso, contiene un nucleo di verità ma non è del tutto soddisfacente: ammesso che un apologeta dell’Ebraismo avesse provato a mettere la propria confessione in buona luce con i Lagidi, non è logico che poi avesse deciso di attribuire ad Israele solo poche migliaia di anni di storia, a fronte delle decine e centinaia di migliaia degli avversari. E se, al contrario, egli avesse voluto moderarsi nella retrospezione, proprio per compiacere i Greci “pragmatici”, mal disposti ad avvallare le roboanti affermazioni di precedenza degli Egizi e dei Caldei, non si capisce perché si sarebbe screditato a sua volta, assegnando, ad esempio, un’inverosimile longevità alle generazioni d’uomini anteriori al Diluvio. Infine, per il cronografo giudaico, non sarebbe stato necessario né utile incrementare metodicamente le date canoniche proposte, alla metà del V sec. a.C., da Esdra ed ormai entrate nell’uso corrente di sinagoghe e scuole fuori d’Egitto, in Siria e Palestina, col rischio di farsi accusare di falso dai suoi correligionari più ortodossi (Wilson 1977).

Una spiegazione alternativa, che noi qui suggeriamo, è che i saggi giudaici operanti in Alessandria desiderassero sì di colpire favorevolmente i Greci, ma ponendo la propria Storia Sacra in sintonia col pensiero d’avanguardia dell’età ellenistica, che stava compiendo passi da gigante sul solido piano della razionalità astronomica. Ricordiamo due testimonianze: Teofrasto di Erìso (373-287 a.C.), discepolo prediletto di Aristotele e suo erede nella direzione della scuola peripatetica, manifestava ammirazione per gli astronomi di area siro-palestinese, Ebrei inclusi, dei quali sottolineava altresì la sobrietà intellettuale, rispetto al virtuosismo un po’ stucchevole manifestato dai Caldei. L’apprezzamento di Teofrasto era contenuto nel perduto Trattato sui segni celesti, di cui fa menzione, alla fine del V sec. d.C., il filosofo Proclo, commentando da parte sua il Timeo di Platone (Procl., In Tim., III, 151, 1). Guarda caso, lo stesso Teofrasto, estimatore dell’astrologia semitica, era legato, da stima intellettuale e fraterna amicizia, proprio con Demetrio di Falero, colui che, come abbiamo veduto, aveva promosso con entusiasmo, ad Alessandria, la realizzazione della LXX. Si ricordano altresì le opinioni  dello storico Giuseppe Flavio (37-99 d.C.), discendente di un’antica e nobile dinastia di sacerdoti giudaici: egli, discorrendo delle verità nascoste nel Pentateuco, in special modo della versione dei LXX che egli adoperava per solito, affermò che Dio aveva accordato ad Enoch e ad altri patriarchi delle durate di vita abnormi, allo scopo di far loro osservare le regolarità di movimento dei cieli e della Terra (Joseph., Ant., I, 82-88). Abramo, il quale era di origine Caldea, avrebbe insegnato i fondamenti della matematica e dell’astronomia agli Egizi, che ne erano ancora digiuni (Ibidem). Infine le complesse forme del Tabernacolo di Mosè e gli ornamenti delle Sommo Sacerdote avrebbero occultato profonde nozioni di carattere astronomico (Joseph., Ant., III, 179-187).

A quale genere di conoscenze facevano riferimento Teofrasto e Giuseppe? Nel primo paragrafo abbiamo visto che Esdra ed altri, verso il 460 a.C., disponevano in qualche maniera di un “orologio cosmico” per misurare a ritroso il tempo, fino alla presunta data della Creazione. Adesso sappiamo che i Settanta, verso il 285 a.C., giunsero ad un’altra data per le origini del Mondo; data che parimenti doveva basarsi su calcoli astronomici estrapolati nel lungo periodo. Poiché il lento ma inesorabile arretramento del punto vernale in rapporto alle varie sezioni della volta celeste, dal segno del Toro a quello dell’Ariete a quello dei Pesci, esso era il candidato naturale alla determinazione di uno schema ciclico di largo respiro, che abbracciasse qualche migliaio di anni, è probabile che entrambe le scuole dell’Ebraismo, quella gerosolimitana e quella alessandrina, avessero dimestichezza col fenomeno della precessione degli equinozi. Non è da escludere, anzi, che gli adeguamenti numerici ai quali gli autori della LXX furono obbligati, rispetto alla versione vetero-palestinese, discendessero dalla necessità, per essi, di sincronizzare la rispettiva narrazione biblica con una nuova e più riduttiva valutazione del ritmo precessionale, fornita loro da qualche autorità in campo astronomico, operante nell’ambiente greco che li circondava. Ciò, si badi, avvenne in un’epoca in cui Ipparco da Nicea era ancora di là da venire.

 

Parte III: aspetti astronomici  (di Mario Codebò).

Le due differenti cronologie bibliche, masoretica e greca, hanno in realtà un comune denominatore: entrambe corrispondono, ma con diverso valore, al tempo impiegato dal punto vernale per passare dalla costellazione del Toro a quella dei Pesci.

La conoscenza che in passato l'equinozio vernale fosse in costellazioni diverse da quelle in cui era all'epoca alessandrina è provata da due documenti:

1)      la coppa Foroughi (Amadasi e Castellani 2005, pp. 14-18; 2006, pp. 1-8), di ambito culturale aramaico e risalente all'VIII secolo a.C.;

2)      il testo 4Q318, detto "brontologion", risalente a circa 2000 anni fa e proveniente dalle grotte di Qumran.

Nella prima gli autori riconosco, tra gli altri asterismi, la rappresentazione, ai quattro vertici, delle costellazioni del Toro, del Leone e, probabilmente, dello Scorpione, corrispondenti, rispettivamente, all'equinozio di primavera, al solstizio d'estate ed all'equinozio di autunno nei millenni IV-III a. C. Purtroppo la quarta costellazione rappresentata, che dovrebbe essere l'Acquario-Capricorno corrispondente al solstizio d'inverno, non è più leggibile. Gli autori fanno notare come la coppia Toro-Leone sia documentata nel MUL-APIN, antecedente al I millennio a. C. e come la rappresentazione dei due Carri - Piccolo e Grande - sia congruente con la posizione del polo celeste agli inizi del I millennio a. C. Se ne deve concludere che la coppa dimostra la conoscenza della precessione degli equinozi ben prima d'Ipparco e che all'epoca della sua fattura erano note le posizioni equinoziali e solstiziali del Sole di 3000 anni prima.

Il testo 4Q318, detto Brontologion, è uno di quei frammenti qumranici che hanno dovuto attendere circa quarant'anni prima di essere pubblicati. Le ragioni di questi ritardi sono esaurientemente esposte da Eisenman e Wise nell'introduzione al loro libro (Eisenman e Wise 2006). E' costituito da due frammenti in cui sono riportati i segni zodiacali che "presiedono" a ciascun giorno di ciascun mese dell'anno ebraico. Dai pur scarsi resti del testo si evince come i primi due giorni di nisan (detto abib in epoca pre-esilica) siano sotto il segno del Toro. Questo mese, corrispondente a marzo-aprile, fu designato fin dai tempi dell'Esodo - Es 12, 1; 13, 4 - come il primo mese dell'anno religioso ebraico perché in quel mese YHWH fece uscire il Suo popolo dall'Egitto: il mese, cioè, corrisponde alla Pasqua. Nel I secolo a.C., quando il Brontologion fu scritto, l'equinozio vernale cadeva da 2000 anni nella costellazione dell'Ariete e si apprestava ad entrare in quella dei Pesci (Bianchi, Codebò, Veneziano 2005 a; 2005 b). Invece il testo rappresenta la configurazione solare dei millenni IV-III a. C., proprio come la coppa Foroughi.

E' quindi evidente come le culture medio-orientali del I millennio a. C. fossero a conoscenza della configurazione del cielo di 3000 anni prima e del suo mutamento precessionale.

Per definire con la maggiore precisione possibile la scansione dei tempi della precessione equinoziale, abbiamo calcolato con la maggiore esattezza possibile gli anni in cui il punto vernale entrò nelle costellazione del Toro, dell'Ariete e dei Pesci e l'anno in cui uscì dalla costellazione dell'Ariete.

Partendo dai dati FK4 1950 dello Smithsonian Observatory Catalogue (www.alcyone.de), è stato eseguito il calcolo, programmato da Codebò su calcolatrice Casio fx-9700GE, della precessione con le correzioni per i moti propri, la nutazione e l'aberrazione (non si è tenuto conto della parallasse annua in quanto sempre inferiore a 0,8" annui) secondo la procedura descritta in Meeus 1990, pp. 61-73, e definiti, grazie alle indicazioni del prof. Fabrizio Bònoli, i confini delle costellazioni secondo il catalogo delle stelle del libro VII dell'Almagesto di Claudio Tolemeo (Taliaferro 1980), ricalcolato in coordinate equatoriali 1900.0 sul sito www.univie.ac.at/hwastro/rare/1515_ptolemaee.htm, è risultato che il punto vernale, uguagliando a 0h 00m 00s l'ascensione retta di tali stelle, raggiunse:

138 Tauri, prima stella della costellazione del Toro, nel 4437-4436 a. C.

ο Tauri, ultima stella del Toro, nel 2003-2004 a. C.

τ2 Arietis, prima stella dell'Ariete, nel 1816 a. C.

δ Arietis nel 1622 a. C.

β Arietis nel 180-179 a. C.

γ Arietis, ultima stella dell'Ariete, 166-165 a. C.

ο Piscium nel 49-48 a. C.

Inoltre il punto vernale attraversò l'immaginaria linea retta tra:

ζ e β Tauri nel 4058 a. C.

ο e η Piscium nel 21 d. C.

Con l'occasione abbiamo anche calcolato l'anno in cui il punto autunnale attraversò l'immaginaria linea retta tra α e κ Virginis, essendo questo uno dei segni che potrebbe avere convinto i Magi a mettersi in cammino alla ricerca del saošyant mazdeo (Bianchi, Codebò, Veneziano 2005 a; 2005 b), dai primi Cristiani identificato con il Messia ebraico. Questo anno fu il 14 a. C.

La nostra ipotesi, cui siamo pervenuti autonomamente, che i Magi fossero in realtà andati in cerca del saošyant mazdeo è confortata dalla medesima conclusione a cui giunse il P. Giuseppe Messina negli anni '30 del XX secolo (Messina 1933).

Come si vede bene:

1)      l'attraversamento della linea retta tra ζ e β Tauri avviene nello stesso secolo i cui la tradizione "masoretica" pone la creazione (4000 a. C. circa) ed in cui si verificò - precisamente nel 4097 a. C. - quel fenomeno della triplice congiunzione Giove-Saturno in una costellazione in cui era appena entrato il punto vernale; fenomeno che si ripeté solo quattromila anni dopo, nel 7 a. C., nei Pesci. In due nostri precedenti lavori (Bianchi, Codebò, Veneziano 2005 a; 2005 b) abbiamo proposto che la combinazione "triplice congiunzione Giove-Saturno nella costellazione in cui entrava il punto vernale" fosse la vera "stella di Betlemme" di Matteo 2;

2)      l'ingresso in Ariete avviene all'epoca della presunta discesa dei dodici patriarchi in Egitto nel XVIII secolo a. C. Si noti che essa è la stessa epoca in cui gli Hyksos invasero l'Egitto e che alcuni autori contemporanei tendono ad identificare questi ultimi con i primi;

3)      l'uscita da Ariete avviene nel secolo in cui, nell'aspettativa di una nuova era, nel mondo greco-romano iniziano varie rivolte contro il potere dominante, le principali delle quali sono quella dei Maccabei in Israele contro Antioco IV Epifane (166 a. C.) e quella degli Eliopolitani a Pergamo, guidati da Aristonico (134 a. C.) (Bianchi, Codebò, Veneziano 2005 b);

4)      l'ingresso in Pisces avviene all'epoca della triplice congiunzione Giove-Saturno negli stessi Pesci (7 a. C.), preludio alla predicazione di Cristo.

Sembra perciò che la precessione degli equinozi scandisca le fasi principali della cronologia biblica e di alcune aspettative escatologiche.

Ma anche la cronologia "lunga" di ambito giudaico-greco sembra avere relazione con il "calendario precessionale". Se infatti non si utilizza la velocità reale della precessione degli equinozi, pari a 0°00'50, 290966" J2000.0 annui, ma quella di 1° al secolo (pari a 0°00'36" all'anno) - che erroneamente Tolemeo attribuì ad Ipparco - si trova che il punto vernale entrava in Toro non nel 4000 a. C. ma, appunto, nel 5500 a. C.!

Riteniamo quindi che le due differenti datazioni bibliche altro non siano che:

nella tradizione giudaica ortodossa (confluita poi nel testo masoretico dei secoli IX - X d. C.), il tempo reale della precessione degli equinozi, forse ereditato dall'astronomia babilonese al tempo dell'esilio;

 nella tradizione giudaica greca dei LXX e di G. Flavio, il tempo più lento, tipico dell'astronomia greca.

Qualche autore (Riverso 2004, p. 99) ipotizza pure che durante il periodo dell'esilio babilonese l'aspettativa mazdea del saošyant abbia influenzato l'ambiente religioso ebraico generando quella del Messia giudeo che, in effetti, diviene predominante proprio nella letteratura post-esilica ed extrabiblica, soprattutto nei testi apocrifi e di Qumran. In tal caso, i noti passi biblici, invero piuttosto generici, di Num 24,17 e Sal 22 avrebbero ricevuto un'interpretazione messianica retrospettiva.

 

Conclusioni.

Da quanto sopra riportato, emerge che la tradizione giudaica ortodossa, fissando la comparsa di Adamo ed Eva attorno al 4000 a.C., era probabilmente a conoscenza della velocità precessionale effettiva, forse per un’eredità culturale dell'astronomia babilonese, ricevuta al tempo dell'esilio. Anche i Settanta, che arretravano la Creazione attorno al 5500 a.C., avevano probabilmente un sentore della precessione, ma nella versione più aggiornata, eppure gravemente sbagliata per difetto di velocità, che si stava forse affermando nell’astronomia ellenistica, più tardi compendiata da Claudio Tolemeo. Sembra proprio che idee sopra un ciclo cosmico scandito dalla precessione degli equinozi circolassero nell’Oriente antico ben prima di quando solitamente s’immagini; prima cioè dell’avvento d'Ipparco da Nicea!

Il nostro risultato è importante, ma, per essere giudicato pienamente attendibile, deve essere corroborato da altre verifiche di ordine “logico-storico”: dopo aver stabilito che l’entrata dei punti equinoziali γ ed Ω nella costellazione dei Pesci fu salutata da molti come il momento di nascita di un agognato Salvatore (Bianchi, Codebò, Veneziano 2005 a, b); una volta stabilito che la comparsa del Sole all’equinozio primaverile sotto il segno del Toro fu associata, nell’immaginario degli scrittori biblici, all’atto della Creazione; resta da considerare l’intervallo di secoli tra le origini del mondo e l’avvento del Messia. Si tratta di vedere se si possano istituire parallelismi stringenti fra i tempi di tragitto dei punti equinoziali rispetto alla costellazione dell’Ariete e la cronologia di grandi personaggi biblici come Mosè o Abramo, qual è desumibile dal testo masoretico, dalla LXX, ma anche dalla letteratura collaterale (Pentateuco dei Samaritani, Antichità Giudaiche, Libro dei Giubilei). Questa problematica sarà da noi affrontata prossimamente.

 

Ringraziamenti.

Si ringraziano:

Armando Orsoni della Civica Biblioteca Berio di Genova; il Pontificio Istituto Biblico di Roma - ed in particolare il Sig. Paolo Bizzarri, Library IT Manager della Biblioteca del P.I.B. - e la Biblioteca Orsi di Pavia, per avere gentilmente rintracciato e messo a nostra disposizione l'ormai introvabile testo del Messina;

Fabrizio Bònoli per la consulenza dataci nel definire i confini delle costellazioni presso le culture antiche prese in esame.

 

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[i] We take leave to use the expression "Masoretic" to mean the Old Testament text of the Official Judaims and Gerusalem Temple tradition before the Diaspora, although the Masoretic Rabbies codified the Masoretic Text during the IX century a. C. This leave is possible becuase the Masoretic Text of IX century a. C. is the same of the Old Israel Official Judaism before the Diaspora, in antithesis with the Greek Text and the Syriac Text.

[ii] Che saranno illustrati in un nostro prossimo lavoro.

 

 

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